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Profumo di caffè
Dopo
Un sacco di ricordi, opera-diario del 2009, Emilia Manzoli Borsetti si
ripropone al lettore con questa trilogia di racconti, che nell’economia delle
correlative trame, realizzano un univoco romanzo dal carattere marcatamente
esistenziale il cui riferimento cronologico è il secolo scorso.
Tra
natura ed arte, in una prevalente cornice dettagliatamente bucolica e nel
contempo artistico-monumentale, ripercorrendo, secondo le esigenze della
narrazione, una geografia d’ampio respiro, comprensiva delle pittoresche,
nazionali città di Venezia, Ferrara, Piacenza… nonché delle europee Marsiglia e
Parigi, e d’altre città di più oltre frontiera ancora, dislocate nelle lontane
Americhe, emerge un’intarsiata narrativa essenzialmente legata ai sentimenti ed
agli eventi.
Gabriella detta Lilla, Corinna detta Cori e Balduccia detta Nuccia, le tre
invadenti quanto malcapitate protagoniste, eroine, tra tante avverse
contingenze, tutte profondamente ferite nel cuore e nell’anima, tramite
altrettanti distinti squarci biografici, che s’intrecciano con naturalezza e
confluiscono in un’unica rendicontazione puntuale per ogni vicenda e per ogni
affettiva movenza, sembrano costituire un’esemplare rapporto di sorellanza
piuttosto che una casuale, fatalmente coincidente amicizia. Eppure la loro è
un’amicizia. Una sentita, partecipata amicizia, che, ad incominciare dalla
reciproca, basilare, mera conoscenza dei primi anni scolari, s’intensifica,
venendo a perfezionarsi per il percorso di un’intera vita.
Gli
elementi chiave che la nostra autrice intende calamitare nella finzione
letteraria, la quale assurge a potenziale memoria del fruitore, in quanto gli
accadimenti pertinenti alla vita d’un essere umano grossomodo s’assomiglino
(nascite, morti, malattie ed altri malanni ancora, pochi momenti felici, amori
effettivi o mancati…), non includono altro che “la sensibilità e la delicatezza,
ma anche la tenacia e la resistenza della natura femminile, che trae forza e
vigore dalla condivisione dei sentimenti”, come indica, a mo’ di bugiardino,
l’aletta di copertina. Parola d’ordine che s’insinua, proprio come una subdola,
pungente tignola, nella carne sia della scrittrice, prima, che del lettore, poi.
Peculiarità inesorabilmente attiva, vero metronomo di dolorose esperienze
foriere di lutti, i più verosimili, d’una società mai arresa all’odio, alla
droga… al male nel senso più esteso. Sono proprio il dolore e la disgrazia, o
più generalmente la malasorte, il complesso fattore che accomuna il percorso
esistenziale delle tre amiche-sorelle.
A
ben pensarci, alla fin fine, la mente azzarda l’idea d’una nuova formula di
quegli ammirati “vinti” targati Giovanni Verga. Una formula rivista nella
dimensione-donna e logicamente impiantata su un più recente substrato storico.
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Recensione |
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