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The Foggy family. La saga dei FannannaEra dall’e-book del 2011 (Strade d’esilio, Este Edition), che la ferrarese Elena Leone, archeologa, attualmente insegnante di lettere, non usciva con una pubblicazione. Stavolta cartacea, ma del medesimo genere narrativo. E sempre della stessa casa editrice.
Veniamo però ai protagonisti. Sono sei esseri che d’umano hanno pochissimo. Esaminiamoli: il defunto nonno “Mullernorth Quinto”; la nonna, vedova, “Money”; papà Daivan”; mamma “Intelligence”; i due figli gemelli (molto originalmente “gemini” nel testo), ossia la femmina Fastidy” detta “Fast” ed il maschio “Depression” detto “Dep”. A pensarli viene subito in mente la comicissima, famosissima televisiva Famiglia Simpson («Dep era piuttosto corto […], indossava un’esplosione di colori, con un cappellino rosso fuoco e un paio di occhiali enormi e rossi con la montatura rotonda. Due occhietti neri, vivaci, troneggiavano su un visetto a luna piena carico di lentiggini. // Fastidy era più alta del fratello, una figuretta magra infilata in una tuta nera sportiva, due scarpe da tennis più grandi di lei di almeno due misure con lacci spessi e fluo. Aveva un caschetto di capelli corvini e un colorito grigio, ma sul suo volto brillavano due occhi color smeraldo», p. 23). Nomi idealmente, icasticamente attagliati ad ognuno della famiglia, riflesso delle principali peculiarità del singolo. Su tale falsariga, il nucleo familiare è arricchito da una serie di ironici mostriciattoli, che rendono il libro squisitamente ridanciano. Eccoli i gingilli del trastullo del quale Elena Leone vuole renderci parte: “NineKeys”, “gatto passe-partout”, “gatto di strega”; “Orkey”, “similpesce, di Troll”; “GigaSguazzo”, “animale di specie imprecisata”. Perfino la flora è resa protagonista, nelle vesti d’un ficus, “Tabata Mai”. Attorno alla famiglia gravitano: “Billy Rubina”, compagno di classe di uno dei figli Foggy; “LeGore Nesh”, personaggio buffo in assoluto, loro ospite ed inventore del “SuperFrigoAdAutoriempimento (leggasi: autoriempimento dei viveri ivi conservabili)”, vero motivo di disperazione dei supermarket. Autentiche sagome, originali cartoni animati, tutti. E lo divengono ancor di più nel loro evolutivo intreccio parossistico, assolutamente assurdo, improbabile, umanamente incoerente. Mi si chiederà: i Fannanna, di cui accenna il titolo, dove sono? chi sono? cosa c’entrano con quanto detto finora? Vi svelo subito il mistero. Nonno Mullernorth e papà Daivan certamente lo sono Fannanna. Vedete, l’uno (ormai trapassato) lo era e l’altro (tuttora vivente) lo è, in quanto ambedue dormiglioni della grossa. D’altronde basta ben analizzare la parola Fannanna per intuirlo: Fa (n) nanna. Ragioniamo, per semplicità, sul secondo, su Daivan. Cosa suggerisce il nome di detto personaggio? Un comodissimo divano, non è vero? Infatti è un tipo che, appena messo il sedere su qualsiasi seggiola morbida (che sia un divano, una poltrona, un sedile d’automobile, di treno o d’altro mezzo di trasporto, o qualcos’altro ancora purchessia imbottito) vi si “ingloba” (questo il termine ogni volta usato dall’autrice). E sparisce, letteralmente irreperibile, introvabile, dalla vista di chiunque vi sia vicino; detto fatto. Altrettanto improvvisamente, una volta che venga anche involontariamente toccato, rieccolo comparire. Tric trac: sparito e ricomparso. Fannanna non è certamente un cognome (il loro cognome è, come anticipato, Foggy, anche se, nella sua versione in inglese, non ne è molto discosto) e neanche un soprannome ma una specie di sopra-cognome ed instabile per giunta. Per essere un Fannanna occorre esclusivamente appartenere a quell’assonnata catena di personaggi. E, ahimè, purtroppo per lui, i figli di Daivan sembrano non esservi inclusi (è una specifica domanda che proprio loro, figli increduli, si pongono, senza darsene una definitiva risposta). Io, da parte mia, direi che non appartengano per niente ai Fannanna. Credendo di non aver più nulla da dire, se non fare i dovuti complimenti alla feconda, fantasiosa nostra scrittrice, sto pensando che non saranno tanti ad apprezzare questa recensione. M’aspetto che qualcuno mi dica che faccia addirittura ridere. È qui che vi volevo. Sono contento che sia questo l’esito. Perché anche la narrazione oggetto del mio scrivere fa proprio ridere. Ma ridere da vero e in un senso criticamente buono. Fa un gran ridere, da scompisciarsi, da creparci addirittura. Provare per credere! Oh, io non mi vorrei assumere nessuna responsabilità. Voglio dire che sarebbe opportuno cercare comunque di contenersi nel ridere. Insomma, pensateci voi alla vostra salute, se ci tenete alla pelle. Intanto però procuratevi il libro! |
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