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È un libro, questo, che fa meditare al di là delle sue
righe. Delfina Bozic, ispirata da una verve poetica che le fermenta dentro,
dall'io più manifesto alla parte più inconscia, imprime il sigillo al suo
essere, cercando di esprimere una poesia esistenziale a tutto tondo, in tutta
la sua latitudine.
Se dal punto di vista estetico l'obiettivo appare
mancato, dal lato dell'esistenza mi sembra assolutamente riuscito. Sì, se la
poesia è anche ricerca di se stessi, o, meglio ancora, tentativo terapeutico,
sì, allora, a prescindere dalla forma, la pagina s'identifica nella poesia. È
poesia-vita. Poesia-forza di vivere. Poesia-medicina. Poesia-Io. Poesia-Dio. E
quanto ancora si voglia dire in tal senso.
Quant'anche l'autrice volesse avvicinarsi a
Edoardo Sanguineti, alla cifra d'avanguardia del suo Corollario – è
quanto mai eloquente, nel titolo del libro, la volontà di schierarsi dalla
parte di un'eventuale poesia "tra le righe" invece che "nei versi" –, beh, non
vi sono elementi estetici sufficienti per richiamarne il nome.
Viceversa, concedendole la suddetta, comunque
interessante scappatoia, si può concepire un ribaltamento, dalla narrativa
alla poesia, del topos di quel palpitante, umano e disumano, romanzo Le
libere donne di Magliano, di Mario Tobino. La stessa Bozic lo afferma nei
suoi versi in tensione, anelanti alla riscoperta della sua normalità di donna
e soprattutto di essere umano partecipe della società.
Anche dalla prospettiva dell'io narrante si assiste
ad un'inversione di rilievo. Tobino è passivo spettatore delle sue "donne"
ammalate. Lui le cura, le assiste, e di conseguenza le nota e ne annota i
comportamenti. Mentre Delfina ne è invece parte attiva. È essa stessa parte di
un mondo di soggetti ritenuti malati (d'altronde la normalità, rispetto alla
non normalità, è semplicemente un'opinione, un parere), che hanno bisogno di
guarire, di recuperare fiducia prima di quella capacità, ambigua, astrusa da
definirsi, delimitata dai paletti d'una scienza sempre incerta. L'autrice ne
è, invece, parte attiva.
Vorrei che a concludere, per poter io medesimo
riuscire a dare una conferma della mia disamina, fosse proprio l'autrice, con
lo sfogo di riscatto, di speranza e di salvezza tratto dalle sue ultime
eloquenti osservazioni nell'ordine d'impaginazione: «tra chiaroscuri momenti
di silenzio e di estasi, resta imperituro, il bisogno di "comunicare" con il
resto dell'umanità. Un "messaggio" che è un inno alla spiritualità di un'anima
nel procelloso mare agitato dalle onde del dolore e delle gioie […]. E nella
gran volta di un cielo azzurro […] si legge un imperativo, immutabile
messaggio di speranza».
Coraggio Delfina, fatti forza! Auguri!
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Recensione |
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