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Una vita spesa bene
M’è capitato di
conoscere (nel senso di leggerlo con la necessaria cura per recensirne l’opera)
Canzio Vandelli dalla pubblicazione che ha preceduto quest’ultima. Era la
raccolta intitolata Le Nuove “Vecchie” favole (Este Edition, 2006). Anche
se, a dire il vero, già nei primi anni ’60 – pensate un po’: una cinquantina
d’anni orsono! – ne aveva pubblicate, di fiabe, in varie uscite, sul giornalino
per ragazzi Lo Scolaro (edizione Agis). Ma ciò non toglie che io abbia
conosciuto solamente il Canzio Vandelli, favolista di quest’ultimo squarcio
storico. Il che vale a dire, un letterato ottantasettenne, che poteva apparire
ottimamente dotato dell’attitudine, tutt’altro che risibile, di saper scrivere
favole. Però non mi era nota la sua altrettale abilità a scrivere nella più
varia latitudine. Solo ora, e mi onoro di aggiungere “finalmente”, grazie
appunto a quest’ultima avvincente, quanto mai interessante autobiografica
cronistoria – sinottico diario di vita –, sono riuscito a farmene quella che
credo una giusta idea della grande personalità, piena di qualità umane e
culturali del nostro veterano scrittore. Doti che non ne conchiudono la qualità,
bensì s’aggiungono ad un’eccezionale linguaggio letterario, degno di profonda
attenzione. Al di là delle sue esperienze, nel contesto dettagliatamente, e
soprattutto appassionatamente, narrate, talora con pungente ironia e talaltra
con etica serietà, si palesa un’avvolgente modus di tenere incollato alle
episodiche aneddotiche il fruitore del libro.
Ad iniziare dalla
Premessa si consta la pragmatica tanto quanto disincantata padronanza del –
nel senso dell’appartenenza al – vivere quotidiano che, considerata l’odierna
sua età, potrebbe farlo propendere per un’illusoria speranza di vita,
all’insegna d’un presuntuoso Matusalemme, raggirando quella che con buona
probabilità potrebbe essere l’ora d’una dipartita da rigettare, da rifiutare, da
non volere con tutte le forze. Invece Canzio Vandelli lo sente il fiato della
‘nera signora’ proprio sul collo. Così scrive dando la non indifferente
impressione che quanto seguirà nel libro sia uno scrivere postumo, coniugato da
un Io Narrante soggettivizzato, non raro nella storia della letteratura, ma quel
tanto da non coincidere con la puntuale realtà della scrittura. Solo alla fine
(sezione letteralmente titolata La fine, pp. 141-152), per un lettore che
come me non lo ha personalmente conosciuto, si viene ad attingere la felice
realtà che il nostro scrittore è ancora vivo.
Canzio Vandelli, da
quanto emerge da questo diario di vita (suddiviso in dieci capitoli e supportato
da una ventina di fotografie), è un ricercatissimo traduttore di serbocroato,
tedesco, inglese e russo, laureato in lingue e letterature straniere alla
veneziana università Ca’ Foscari. Traduttore lo è stato nella sua vita militare,
prima; e poi come insegnante nelle scuole ed a livello imprenditoriale e
professionale. Esperienze, queste ultime, che lo hanno portato ad intraprendere
una caterva di posti di lavoro, molti dei quali altamente qualificati, specie,
com’è normale, a fine carriera. Nel settore alberghiero, da ‘caporicevimento’ è
giunto a rivestirne il ruolo di ‘direttore’. Infine, l’ultimo squarcio della sua
attività professionale, presso il settore siderurgico, l’ha visto ‘coordinatore’
dell’ufficio Traduzioni dell’Italimpianti di Genova; nonché, nell’editoria,
autore e redattore di pubblicazioni linguistiche. In pratica producendo una
grossa mole di dizionari e manuali linguistici.
Inoltre è musicista
(suona sia la fisarmonica che il mandolino) nonché ottimo pittore. E temo che
qualcos’altro mi possa sfuggire circa le sue attitudini o passioni. Leggete il
libro e ve ne accorgerete per conto vostro.
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Recensione |
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