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A viso aperto
A viso aperto è una opera ricca di interrogativi e di
sospensioni, un viaggio schietto nella natura umana a confronto con la memoria e
il tempo, l’alienazione e la caducità dell’esistenza, sempre filtrati attraverso
uno sguardo limpido e franco.
Domenico Ventola non è un autore manierista o retorico, ma
profondamente coinvolto e spontaneo, franco fino al punto di chiedere al lettore
di leggere la silloge nella sua interezza, senza limitarsi a “sfogliarla”.
Ogni testo di
A viso aperto è infatti argomento di una
creazione globale e integrata, dove si muove un desolato quotidiano fatto di
figure e atti minimi, piccoli oggetti e situazioni umane permeate da una fatale
desolazione e noncuranza dell’altro, il vero preludio a quel vuoto esistenziale
dove “passano, guardano, proseguono / I devoti della Dea indifferenza”.
Domenico Ventola conosce questo vuoto, perché lo
attraversa, e ne racconta i dolorosi, evanescenti protagonisti. L’autore
affronta il deserto delle emozioni e delle speranze, e lo racconta in uno
spaccato vivido di intensa compenetrazione: “Non mi offristi, / deserto,
/ almeno
il miraggio di un’oasi / per una breve sosta / mi condannasti a vagare smarrito
/
verso il tuo irraggiungibile orizzonte, / a chiedere un senso del tempo
infinito. / Ti vivo, deserto, / vivo te che mi avvolgi”.
La desolazione e l’alienazione del quotidiano aggrediscono
l’incanto fatto di memoria, e di un immaginario dove spicca l’ostinata vitalità
della natura rispetto all’abulìa dell’uomo: “Ma vede alberi liberi
/ chi sa
ascoltarli / legati da un patto di armonia / ignota agli uomini, / in un silenzio di
luce lacustre, / liberi dall’assedio”.
Teso a sgominare la “logora realtà imposta / dal crisma
del tempo”, l’autore intravede un alito di salvezza nel rinnovarsi del
proprio e altrui stupore rispetto al mistero della vita e della natura, (“stupirsi,
nel dedalo della vita, / anche del nulla”), dove non termina l’avvento di un
nuovo viaggio, alla stregua di un fiore che “non cessa di attendere, / radioso
inebriato”, aspettando “l’abbraccio di una nuova terra”.
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Recensione |
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