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Ascesa al regno degli immortali
Un libro come Ascesa nel regno degli immortali non
poteva essere scritto da un letterato, o meglio, doveva necessariamente essere
scritto da un artista. Con ciò non si esclude affatto il valore letterario del
testo, così come non si può non valutare nella scrittura, ad esempio, di poeti
come Amelia Rosselli o Giuliano Mesa, la profonda influenza dello studio
musicale.
Qui siamo oltre la semplice influenza, considerando che l’autore,
Alessandro Pierfederici, è un artista, e più precisamente un musicista che
svolge la professione di insegnante e pianista. Ma siamo anche in presenza di
uno scrittore, capace di rendere presente e incandescente il fuoco dell’arte,
dell’assoluto innalzamento e abisso che comporta l’adesione totale al proprio
talento.
Nel provare ad approssimare le sensazioni affioranti dalla lettura
soccorrono, per analogia, due film. L’Andrej Rublëv di
Andrej Tarkovskij,
in cui sono resi in chiave quasi epica il sacrificio e l’estasi (potrebbe
evocarsi anche Il tormento e l’estasi di Irving Stone) implicite al fare
arte. E ancora, tratto da un libro di
Pascal Quignard,
Tous les matins du monde, l’omonimo film diretto da
Alain Corneau, che
narra del rapporto tra maestro e allievo nell’apprendimento dell’arte della
viola da gamba e in cui (in particolare - e ovviamente - nella trasposizione
cinematografica) è rimesso alla musica, struggente, il tracciato della linea
narrativa.
Ma non si deve fraintendere. Questo romanzo non è un libro sulla
musica, bensì un libro in cui la musica è parte fondante della narrazione. In
ultima analisi siamo di fronte ad un romanzo di iniziazione in cui il
protagonista, evidentemente musicista, è portato a maturare una propria scelta
nel dissidio inevitabile tra realtà e ideale. E allora, in estrema analisi,
siamo forse nel cuore del pensiero esistenzialista, tra le pagine di un dettato
che va ben oltre gli spartiti cui rimanda.
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Recensione |
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