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La silloge di Mirella Genovese presenta come suo carattere peculiare il riferimento a una mappa in qualche modo fisica, da rielaborare attraverso la parola, la metafora, l'accostamento immediato di sensi differenti.

L'immagine per l'autrice è principio e genesi della “folgorazione” poetica, impronta vivida che si traduce nei più vari significati lungo il seguito dei versi, netti e concisi, quasi a non voler oltrepassare una primitiva coscienza impressa immediatamente sul foglio.

Eppure l'immaginario reale a cui la Genovese attinge trasloca nei luoghi più impensati, si fa da tramite per osservazioni e domande che scivolano in un intimo più colloquiale e quotidiano: “Guizzano pesci | tra le nubi |madrepore hanno sede |nei cieli” ||| “Come in sogno da Rialto | contemplo il fiume | verde che lento | tra muri decrepiti | va.”

L'autrice fa proprio il mondo come diritto di interpretazione in cui leggerne le contraddizioni, in un ideale viaggio che compie da pellegrina in versi con tutta la sua volontà descrittiva.

La potenzialità dei testi è espressa maggiormente attraverso una versificazione asciutta che non cede a impreziosimenti eccessivi e manierismi dialettici, rimanendo asciutta e addirittura scarna in alcune sue scelte stilistiche, ma garantendo un certo ritmo allo sviluppo della poesia.

Vi è infatti nei testi della Genovese una musicalità efficace, una capacità importante nel proporre un io lirico ben commisto con le immagini che ci propone, la sua mappa di luoghi trascorsi e impressi nella “sua” carta.

Mappa ora del cielo, ora della Barberia, ora “carta geografica gialla | con quarti di marroncino”: la Genovese rivisita il concetto di luogo e di spazio pure decretandone un confine invalicabile.

Come infatti ella stessa dice in un testo della silloge, “alzerai lo sguardo | e l'utopia avrà sede | in luoghi | lontani dalla mappa”.

Recensione
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