Liliana Ugolini
ancora una volta attraversa l'immaginario del “teatrino”, in un'opera che è
insieme originale espressione letteraria in una formula che non cerca
definizioni e meno che mai demarcazioni.
Saggio o
narrazione, oppure come dice la stessa autrice “fabiola”, in cui l'intersezione
tra linguaggio e immagine (gli acrilici di Giovanna Ugolini) diventa spunto per
un viaggio “fantastico” eppure quanto mai realistico; i burattini, le
marionette, la stessa scena che essi animano sono interpretazione vivida della
loro “parabola”.
Protagonisti
senza parole proprie nel testo, le figure del Teatrino sono interlocutrici
ideali per lo svolgimento di una trama laboriosa in cui la connotazione
riflessiva della scrittura della Ugolini si affaccia in tutto il suo dinamismo;
il lettore è continuamente stimolato alla rielaborazione di una tessitura
dialettica che pretende ben più di una frettolosa e immediata ricognizione.
Così Burattini,
Marionette e Burattinaio si dilatano fino a diventare humus per una dialettica
metafisica che ha come suo veicolo un linguaggio “naturale”, sorretto da una
prosa accurata ma asciutta che pure sostiene la complessità del percorso
narrativo.
La connotazione
poetica della scrittura della Ugolini è evidente, i passaggi in versi sono tra i
più densi dell'opera e sono ben più di un corollario nella sua costruzione:
“il coraggio muore infilzato senza repliche | e nel filo tirato della danza | è la
speranza | che spettacoli rinnova”.
Poesia che permea tutto il testo, anche nella sua formulazione in prosa.
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