Luigina Bigon fa emergere nella
sua scrittura la necessità di fissare quel concetto di “tempo” che motiva e
interroga le sue liriche.
In questa silloge il confronto
di due viaggi (rispettivamente a Sottomarina e in Cina) diviene
espediente per raccontare in immagini il paradosso del tempo e dello spazio
ingurgitati medesimamente nella formula poetica dell’autrice, altrettanto
efficace (talora più provocatoria) di quella scientifica.
La relatività della vita viene
indagata nelle coincidenze di passaggi volutamente accostati da Luigina Bigon,
fisicamente lontani ma determinati da quel medesimo spazio creatore che
l’autrice attraversa e fa proprio; l’itinerario di ogni viaggio è quello di uno
sguardo acuto che riflette su condizioni solo apparentemente distanti.
La relatività della poesia
permette di trasmettere sensazioni che scaturiscono da fonti differenti,
avvicinati e percorsi dalle parole che ravvivano il tempo, rendendolo
infinitamente permeabile anche alla coscienza del lettore.
“Mi regno l’ultimo sole con
il vento che mi sgola. | (…) Mi abbandono sullo schienale | in attesa che l’ora mi
porti a casa”(Ponte Sottomarina) || I grattacieli larghi | ben piantai
tetto a pagoda ideogrammi accesi | nel lungo argine che fessura le vecchie
mura | ora desuete su asfalti stranianti (..)” (Cina): Luigina Bigon riesce a
condensare in immagini pregnanti una intimità che si specchia con forte emozione
nello spazio che la circonda, traducendo la volontà di appartenere al luogo che
rende proprio nelle parole. Luogo che come concetto annulla le distanze e
diventa (che sia Ponte Sottomarina o la Cina) territorio esclusivo dell’autrice,
una terrena mappa dell’anima.
A corollario dei testi troviamo
nel libro le belle traduzioni di Adeodato Piazza Nicolai, che ha curato anche la
traduzione dell’opera.
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