La lirica di Giovanni Tavčar è
caratterizzata da una forte matrice introspettiva, che trova nel ricordo e nella
sua catarsi la sua più evidente essenzialità.
L’autore costruisce e sedimenta
immagini del passato trasfigurate in visioni talora oniriche, a volte permeate
da un crudo realismo concepito all’insegna del dubbio e della disillusione.
“Sopra la superficie dell’ora
inquieta | la luce ondeggia con esile caviglia. | Basta così poco per morire | pur
rimanendo dolorosamente in vita”: un lutto esistenziale si rapprende nella
poetica di Giovanni Tavčar, intercedendo – vista la demistificazione sostanziale
dell’esistere – per una intima e raccolta quotidianità che può animare una
“alba senza scorie e senza affanni | che sommuove il dono dell’azzurro
| e il
fresco respiro del mondo”.
L’autore non alimenta speranze
onniscienti, né muove una aspra condanna verso “l’ottuso raccapriccio del vivere
oscuro”; Giovanni Tavčar racconta con versi essenziali e scarni, ricchi di
metafore e immagini significative, i paradossi propri di ogni vissuto, con la
pacatezza di chi sa medesimamente ricordare e trasmettere il proprio esistere
attraverso quei “racconti del vento” che narrano in espressione lirica il
proprio travaglio interiore.
Ed è subito sussulto è una
silloge ben costruita e curata, in cui l’attenta scelta linguistica si riflette
in uno stile introspettivo che riecheggia importanti rappresentanti della poesia
del 900.
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