Duccio Castelli scrive un'opera
originale, in cui si fondono insieme ironia, riflessione, nostalgia ed emozione.
Il “fermo posta paradiso” non è
una metafora ma un luogo immaginifico che per l'autore diventa un concreto modo
di riallacciare un dialogo con i propri familiari, con i propri miti, con
personaggi che nel corso della vita lo hanno colpito e affascinato, anche se
egli non li ha conosciuti realmente.
Così, in viaggio come ideali
buste da lettere (verrebbe da chiederci se esistono più i tradizionali fermo
posta, visto lo strapotere che ha ormai Internet nel veicolare messaggi) ecco
che si incrociano parole destinate rispettivamente a Jim Clark e a Pablo Neruda,
a Federico Fellini e alla zia Rosa, a Miles Davis e a Giulio Cesare...e a molti
altri ancora. Duccio Castelli scrive lettere, semplicemente, che sanno di
incanto e disincanto insieme.
Si avverte che queste missive
sono scritte da un uomo maturo, che molto nella sua vita ha visto e molto ha da
raccontare, e che pone i suoi interlocutori in un paradiso che ormai, dopo la
morte, li accomuna.
L'autore scrive con agilità e
sagacia, non perdendosi in preamboli ma dedicandosi all'urgenza che lo muove,
esprimendosi con una chiarezza che è insieme pungente e dolce.
D'altronde, dice Duccio
Castelli, tutti “finiscono in polvere e cagnotti” alle prese con un
Universo che alla fine “implode o esplode”.
Quindi è possibile per l'autore
acciuffare con la sua scrittura chiunque popoli la sua memoria e il suo
immaginario, consapevole che il destino comune ci renda tutti quanti simili,
ugualmente fragili tra le pagine libere di Duccio Castelli.
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