L'esperienza poetica di
Marino Piazzolla si condensa in un cammino denso e particolare, sospeso com'è
tra ricerca personale e originalissima e un riferimento alla poesia lirica più
tradizionale ma anch'essa determinata a cercare nuove forme ed a esplorare ogni
possibilità percettiva delle parole.
Marino Piazzolla è stato fine
critico e attento osservatore di quei versanti letterari (basti pensare agli
autori francesi) che si sono spinti ben oltre i loro naturali confini.
Il suo mondo interiore,
particolarmente evidente nelle sue liriche, viene così trasfigurato in una
versificazione che risulta intima ma estremamente curata nelle forme, incline a
non disdegnare un certo sperimentalismo, mai troppo evidente ma venatura
consapevole del proprio corpo poetico.
Così il tema dell'assenza e
della morte diventa strumento per attraversare in poesia il proprio vissuto
senza scadere in una prolissità dolorosa; il linguaggio di Piazzolla esclude un
fine ultimo di redenzione trasferendo ogni possibile rifugio nella dimensione
stessa del verso, un verso conciso e ricco di immagini che ne costituiscono
forse la maggiore ricchezza.
“ci son voluti
millenni | per fare secca la porta | e fermare le foglie | nell'aria di creta”: il
poeta incide nella carta un'immagine di granito, infinita.
Nelle raccolte inserite del
libro, spicca anche la presenza di interventi critici di sicuro spessore che
commentano singoli testi di Piazzolla.
Particolare importante, visto
anche una certa incomprensibile cecità rispetto al ruolo del poeta nella poesia
italiana del '900.
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