Tertium non
datur è una gradevole partitura teatrale, sospesa tra realismo e porzione
metafisica del quotidiano che si palesa maggiormente nel finale dell'opera.
La scena si
mantiene stabilmente in un interno borghese, dove si muovono personaggi dai
contorni concreti (il professore, sua figlia, il successore di lui alla cattedra
universitaria, le amiche di lei ed altri..) e da una interiorità che declina a
raccogliere istanze più ambiziose di quelle che vengono catturate
nell'immediatezza della lettura.
La trama è assai
semplice e i dialoghi si costruiscono in lucide sequenze che mantengono compatta
l'unità strutturale presente in ogni atto, ma gli argomenti trattati dai
personaggi palesano una complessità che necessita una riflessione maggiore al di
là della storia.
La ricerca della
perfezione – sia che esemplifichi efficacemente tutte le caratteristiche della
propria individualità – è particolarmente ricorrente nell'opera, come anche il
tentativo di acciuffare una collocazione alla propria sessualità, intesa come
genere in cui definirsi e identificarsi. Eppure, sostiene
la protagonista della commedia, “tertium non datur”: non vi è altra scelta
rispetto a quella che ci viene proposta da canoni prestabiliti e che deve essere
accettata di conseguenza.
E la scelta che
in qualche modo viene negata diventa nella partitura stratagemma ricorrente che
si palesa in un finale surreale in cui viene sovvertito l'ordine riflessivo e
consequenziale dei precedenti atti; il paradosso argomenta la scelta, rendendo i
personaggi passivi attori di un finale già attuato, liberi solo di lasciare la
scena.
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