Raffaella
Bettiol scrive una raccolta densa e raffinata, in cui il sentimento amoroso è
ancora che arresta e sottolinea passaggi insondabili del percorso esistenziale.
L'autrice
“sosta” tra le impercettibili pieghe del tempo che diventano nicchia di emozione
e desiderio, intrappolando nelle parole il viaggio di una coscienza a ritroso,
affacciata nel presente ma appunto “ancorata” al passato: “ferma la
macchina, ti ripeto | la nostra vita è così lontana da questo | disperatamente
acquattata | in una vita di città | dispersa tra fuochi di motori | gabbie di
cemento, corse inutili.”: a interfacciarsi con il
ricordo, la rivisitazione di un momento intatto, cristallizzato in una immagine
che l'autrice porge audacemente al lettore, si manifesta il disagio, quel senso
di “sprovvedutezza” che marca il titolo, accanto alla sfera quotidiana.
Appunto il
quotidiano per la Bettiol è fonte di inaudita dolcezza, ma anche di improvvisa
assurdità, un paradosso che si delinea maggiormente nel confronto con il
passato.
Contrappunto di
questo, quasi una rassicurazione al turbamento che esprime la lirica, si assiste
alla presenza di un paesaggio che insiste nella poetica della Bettiol, elemento
che rimane e soddisfa una ansia terrena, proprio per essere l'espediente di
quei passaggi a ritroso cari alla poetica dell'autrice.
Addirittura le
stesse figure della commedia dell'arte diventano per lei escamotage per
catturare l'assoluto attraverso una maschera di per se inamovibile, ma è proprio
questa che alla fine racconta il mondo di tutti, le sue imperiose e dolorose
necessità: infatti Pantalone in contemplazione di Venezia dice “– il mondo
intero muore – borbotta | farfuglia con voce assonnata”.
Una poesia che
si muove tra tensione verso il futuro e ricordo, quasi a contraddire
maliziosamente quella ordinaria, “sprovveduta quotidianità” che è il titolo
della raccolta.
|