In questo poemetto che il poeta fiorentino Veniero Scarselli
presenta (Premio Cinque Terre 2003) è evidente la pratica della poesia usata da
sempre e cioè non quella lirica ma la raccolta del poema epico ispirandosi da
monotematico alla forma della Chanson de geste.
Difatti il poemetto in discussione è composto da diciassette
"lasse" (liberamente tratto dal Libro Tibetano dei Morti). Non è facile trovare
una raccolta poetica composta da "lasse" che sono, come si sa, strofe dalle
canzoni di gesta, composte di un numero vario di versi, in genere decasillabi,
che hanno tutti una sola rima o assonanza. Gli studi di Veniero Scarselli
(biologia, libera docenza, incarichi universitari) sono stati importanti per
"la formazione di una personale visione del mondo e per la maturazione della sua
scrittura".
Nel suo "rifugio" – dopo aver rinunciato all'attività
scientifica – sull'Appennino toscano (Pratovecchio) si è dedicato solo
alla riflessione poetica. Sono così nati importanti per concezione un
considerevole numero di poemi che Giorgio Bárberi Squarotti definisce di
"straordinaria originalità". Nel poemetto se tentiamo di conoscere "gli
insegnamenti fondamentali della sapienza spirituale buddista", arriviamo ad un
"manuale" non tanto della buona morte quanto della giusta via alla vita eterna:
"tu che sei la mia sposa diletta | e m'hai guidato con amore e saggezza | ...
sai che presto verrà il compimento della lunga mia vita corporale | ... sazio di
conoscenza e d'amore" (1a lassa). Nelle 17 lasse del poemetto è facile trovare significati d'alto interesse
spirituale: proviamo a riportare alcuni versi della 13a lassa: "Se tu, mia sposa
diletta, | vuoi essermi angelo e guida | anche dopo il mio ultimo sospiro | ...
lascia ancora, ti prego, il mio corpo | sul letto della nostra umana unione, |
... stenditi ti prego accanto a me."
Il poeta guarda, chiede e fa vari paragoni tra il suo stato e
quello degli altri mortali. Così l'A. racchiude in sette versi il ritratto della
diletta sposa e finisce con un verso, il verso rapido della morte. Tra l'altro
scrive: "La Luce cui devono tendere | gli spiriti che agognano leggeri | e
liberarsi dalla vita corporale." (15a lassa).
Venero Scarselli è guidato ad abbandonarsi alla Luce eterna
della perfezione universale. Nelle 17 lasse così l'A. dimostra la sua forza del poema
epico della forma dalla Chanson de geste: ed è questo il privilegio della sua
classe di poeta ampiamente riconosciuta.
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