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La cifra poetica di Lucio Zinna
è da quasi un quarantennio originalmente incentrata sulla bipolarità
pubblico/privato, società/individuo, eticità/difesa dell’io e nutrita di succhi
mediterranei e siciliani che danno un sapore speciale al tema dell’“insularità”.
Zinna, condirettore della rivista “Arenaria”, ha da poco pubblicato nella
collana “La mansarda dell’Olivella” il primo quaderno, intitolandolo La
casarca, dove la “casa” è la metafora dell’essere umano e della sua
interiorità, e 1’“arca” è il simbolo della salvezza nel diluvio.
Il poeta scrive da una
Palermo solare e perigliosa, dove qualcosa va cambiando anche di giorno
all’interno degli uomini, “che sotto la cenere del loro affaccendarsi cercano di
coprire il fuoco del loro sgomento”. Per questo la prima sezione del libro ha
per titolo “La campana del coprifuoco”, che registra le intuizioni e le
conclusioni personali scandite sulla “tiritera dei giorni” e ingloba finali
sentenziosi: “Perché vivere è pure il sentirsi morire | del distacco ed è
resurrezione ogni ritorno”. Qui troviamo non la Sicilia raccontata dai
mass-media, ma quella vissuta sulla propria pelle da un intellettuale siciliano
che rifiuta tanto la retorica quanto le generose illusioni: “Il futuro dei figli
− | esposti a sottili
soprusi − il lavoro per
i figli | dell’altra isola s’affida a conclamati simposi | a queste
(generose patetiche) fiaccolate-contro”.
Una sorta di limbo
canzonatorio e beffardo è la seconda sezione, “Polaroid”, che raduna istantanee
di immagini e riflessioni anche sulla storia passata, e frecciate contro il
malgoverno vessatorio e tassaiolo che tutti sottoscriviamo: “Chi sgoverna
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manda in FUMO | il tuo denaro | e TI AVVELENA | resistenza. | Digli di
SMETTERE.”
La terza e ultima sezione è
quella che da il titolo all’intera raccolta e a conduce al cuore del discorso
poetico di Zinna, che tra ricordi di scuola, considerazioni sull’araldica di
famiglia e sul fair play del gatto di casa, rivela la sua dimensione
etica senza dar lezioni a nessuno: “Povero e poeta | ho vissuto la vita che ho
voluto”. In un mistilinguismo insieme colloquiale e prezioso, che sfrutta le
risorse del francese, del dialetto siciliano, del latino, dell’inglese e del
tedesco. Zinna annota le ragioni della scelta di “restare” e resistere: “Questo
scrostarsi le fisime −
gli indotti | bisogni −
la riscoperta del desco-simbolo | il sorridente riepilogo di aneddoti | colti
nella giornata”. “E questo fremente rassegnarsi | alla rassegnazione non voler
tornare | indietro valersi di poco stringere | le forbici sentirsi vicino
l’orizzonte”.
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Recensione |
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