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Renzo
Cremona, veneziano, ha pubblicato una raccolta di versi, Lettere dal
mattatoio. I temi sviluppati nascono dalla realtà, senza illusioni, ma da
una realtà quasi allucinata, "il senso | vago | ma comunque inevitabile di
un vicolo cieco" (p. 25), e "in uno stato di delirio ... | mi alzo | la
notte | in cerca della memoria che si sta perdendo" (p. 35); la conclusione
è la sensazione di vedere un corridoio e la luce di un televisore acceso che
illumina "immagini di qualcosa che io non sono più | in una stanza che non
riesco a raggiungere, per quanto | continui a camminare". Allo stesso modo
accade quando egli sogna di nuotare in una grande piscina (p. 67): "e i miei
piedi lo capiscono: c'è solo la superficie | ma manca il fondo".
Il senso del vuoto, però, è rassegnato, quasi fosse norma di vita
ineluttabile. Questo risulta chiaramente da una poesia che lo puntualizza
efficacemente attraverso l'immagine delle formiche: "Strato su strato |
briciola dopo briciola | costruendo | ci si barrica contro la paura di una nuova
alba" (p. 20). Ma di queste formiche umanizzate non resta assolutamente
nulla. Secco destino simbolicamente rappresentato dal caso: "un solo piede |
e finisce tutto". Non c'è alcun commento; basta il peso della durezza.
Questo senso di mancanza, di assenza è reso meglio quando dalla brevità e
dall'essenzialità emerge il mondo interiore di spontanea purezza, come nella
felice poesia Davanti alla fotografia (p. 14), "Dallo stupore
innocente, | dalla tua morbidezza | ti ho riconosciuto". Non accade lo
stesso quando il poeta ricorre all'artificio del contrasto, come per esempio a
p. 15, nell'immagine di porte che "dopo essersi aperte | rimangono ancora
più chiuse di prima". Meglio tornare alle immagini semplici, più spontanee,
come a p. 73, in Irene e le foglie, dove "figure profumate" "sono
morbide, come le carezze. e | sottili. | sono belle. | E questo mi basta".
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Recensione |
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