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Il poema consta di 43 stanze, o "lasse" come preferisce chiamarle Giancarlo Oli, autore della prefazione, in quanto ricordano la struttura della medievale Chanson de Geste. Le prime dieci spirano un'aura di delicata fiaba: un conquantenne svolge la sua vita diurna da impiegato modello alle Regie Poste del Regno – pensiamo agli zelanti funzionari cecoviani – e il suo unico vizio è dedicare assidue cure agli amati orologi, oggetto della sua passione di collezionista (anche Scarselli ha nel suo eremo una collezione di pendole e di orologi):
E' un susseguirsi di immagini garbate, come quando egli racconta che spesso li porta a prendere un po’ d’aria come cagnolini e a farli giocare sulla spiaggia. Ma tutto questo è raccontato al passato, perché, come è annunciato nella prima lassa che ha funzione di prologo (bene Giancarlo Oli l'accosta alla protasi dei poemi classici), qualcosa è successo, che ha interrotto il nobile rito e ora il collezionista può solo rievocarlo col ricordo, dopo la straordinaria avventura che, come si vedrà, lo ha portato alla presenza dell'Essere Supremo, accecato dal bagliore, ma ancora capace di ricordare. Accorata è la rievocazione dell'innocente stupore degli orologi, simili ad
Ma il vero motivo di tante cure e attenzioni è la somiglianza del loro meccanismo con quello della Ragione; per questo diventa una sorta di nobile missione spolverarli, lucidarli, e poi, per lui che possiede gli strumenti della scienza (alter ego del poeta), aiutarli ad accordarsi col moto esatto del mondo; il Poeta sente che gli orologi sono uniti a noi dal simile destino di avere anch’essi la ragione chiusa dentro un corpo materiale e di dovere anch’essi un giorno morire; e la Ragione è l’unica arma concessa all’uomo per sfidare Dio. Il dramma comincia a delinearsi alla lassa XI, Infame terribile sonno | dalla maschera troppo simile alla morte. E' uno dei passi più belli del poema, che racchiude tanti lampi di richiami letterari, da Shakespeare a Leopardi, alla figura dell'Ulisse dantesco o, come sottolinea Oli, ai petrarchisti o ai barocchi: richiami però criptici, come quasi sempre accade nella poesia scarselliana. Gli orologi d'ora in poi cominciano ad essere bersaglio del Male, il quale con l’arresto del Tempo ha iniziato a condurre l'universo incontro ad un fatale spegnimento; in una notte straordinaria di plenilunio e firmamento stellato risuona infatti l'ultimo squillo dell'ultimo orologio: insieme agli orologi, il sonno ha stritolato la Ragione (e produrrà mostri), ma la mente del Protagonista riesce a svegliarsi avvertendo la cessazione dei rintocchi:
Il Poeta insiste per alcune lasse sul tema della sua angoscia e del suo disperato resistere al paesaggio di morte e forse alla voragine che si sta aprendo nel mondo. Ed ecco l'evento inaspettato, in quella notte stregata dai diavoli, mentre vanno spegnendosi le bellezze del mondo morente e tutto s'immerge nel gelo,
nel cielo, ad oriente, spunta un'altissima torre e, acceso come l'occhio di un'aquila, sulla sua vetta appare potentissimo un enorme orologio, il Vero Orologio originario | della notte dei tempi. Ora forse il tempo e la vita stanno rannicchiati, ma salvi, nell'utero caldo del padre | di tutti gli orologi, là forse germogliano le giovani ore capaci di conservare il moto delle stelle e riprodurre le categorie matematiche del tempo. Comincerà qui il viaggio del Protagonista verso la conquista di quella vetta, alla ricerca del Re di quella dimora, il grande Padre
L'Io narrante, in questa notte di tregenda in cui si sentono echi del Deserto dei Tartari di Buzzati, del castigo di Sodoma e Gomorra, e i Sussurri e Grida di Bergman, si sforza nel suo viaggio di arrivare al perfetto meccanismo del Grande Orologio, vuole raggiungere con la mortale imperfezione della mente | l'immortale perfezione dell'Essere Supremo, toccare quegli ingranaggi e divenirne parte, anche solo come una piccolissima ruota, purché possa scongiurare l'estinzione della Ragione; ma su per gli infiniti scalini incontra nuovi ostacoli, si avverte nei versi la tensione dell’ascesa; ma infine avverrà quella che Oli definisce "la teofania clitoridea", l'apoteosi dell’Utero Divino, la folgorazione della visione della gran Luce, e il dantesco svenimento del protagonista (come corpo morto cade), il suo ritorno a riveder le stelle. |
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