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Poemetto dei bambini è la più recente raccolta di Giovanna Fozzer, foce in cui confluiscono acque poetiche, narrative e critiche dell'autrice. Il volume raccoglie, oltre al poemetto eponimo, il racconto Estati e inverno, che si apparenta al genere di narrazione lirica proustiana, e un testo (esplicativo o autobiografico) Sul poemetto e sul racconto. La prefazione è di Gennaro Mercogliano.

Il poemetto è composto di trentatré strofe, disuguali e di metri vari, intervallate da dodici brevi ritornelli di due o al massimo quattro versi ciascuno, in cui prevale la ripetizione con variatio: Tu canti nel cuore | piccola voce di fanciullo - Tu canti nel cuore | creatura gioia-serena (rispettivamente primo e secondo ritornello). Quasi ogni strofa corrisponde ad un cortometraggio che si snoda come un'orazione di lode, il cui segno stilistico distintivo è l'enumerazione incontrollata, «forma del linguaggio liturgico», «correlativa all'ebbrezza spirituale che travolge il lodante» – secondo la definizione proposta da Giovanni Pozzi (L'alfabeto delle sante, in Scrittrici mistiche italiane) ed elemento di continuità con l'opera precedente dell’autrice, Repertorio d'infinito. Anche qui gli occhi sono l'organo conoscitivo e creativo privilegiato, da cui sgorga la poesia del poemetto e del racconto lirico. Occhi che, come le arcate di un ponte, vedono e lasciano vedere pezzi di cielo, di terra, «occhi di elezione, dato che scoprono e rivelano», come direbbe Maria Zambrano: che qui mostrano, in trentatré sequenze, il regno dei bambini, oggetto reale e mentale del guardare.

Per lo più, bambini si vedono | per un attimo solo, per via: volti | d'infanzia, dal contorno addolcito, | occhi sovente incantati, distratti | tra il sonno e il vedere-senza-sapere | il mondo scorrere ignoto.

Il guardare è proprio di chi ha elaborato in sé il distacco, attraverso uno spossessamento – l’esperienza interiore del pensiero mistico speculativo, che traluce nell'intera opera dell’autrice. Il non-possesso, che scaturisce dalla morte dell'io psichico (già testimoniata nelle poesie cosiddette eckhartiane della raccolta precedente) e dalla nascita del vero io, quello spirituale: Mai ha fine il sogno | di contemplare, ascoltare da vicino | senza esserci, senza interferire | con la vita-vita di creature iniziali; | o forse, | essendoci con uno sguardo lieve | di simpatia, di amore-libertà. Lo sguardo lieve, senza possesso o appropriazione, rimanda indirettamente al pensiero di Margherita Porete, o al Maestro di Turingia: «L'uomo distaccato, l'uomo nobile cammina in questo mondo perfettamente in patria nel presente come nell'eterno, ma insieme assolutamente estraneo alle cose, non nel senso di indifferenza o disinteresse, ma nel senso di non avere appropriazione».

Frutto maturo di ragione mistica e passione, Poemetto dei bambini ha le sue radici nelle opere precedenti. Svuotata la mente dall'ingombro dell'io c'è il ritorno all'infanzia, nel poemetto come in Estati e inverno: racconto «dell'antica felicità infantile a Vigolo Vattàro, nelle lunghe vacanze estive». Lunghissimo ponte del tempo | verso l'infanzia scriveva l’autrice nel breve testo Attesa (Un tuffo al cuore, 1998). Ma riferimenti al regno dei bambini si trovano sparsi in tutta l'opera: già nella prima silloge, Piazza d'Orbetello (1987), nel componimento dal titolo A un bambino molto amato, leggiamo: Di quel pianto | (dell'esser nato | dice il poeta amato) | consolato t'avrei giorno per giorno. In Senza perché (1997) il poeta istituisce un'analogia tra i santi e i bambini: Sono i Santi | come bambini innocenti. Opera dunque non di rottura ma di continuità, come ha sottolineato Mercogliano nella bella introduzione al Poemetto.

La continuità si tocca con mano non solo nell'oggetto reale e mentale della contemplazione e della memoria, ma nell'aderenza al reale, nel conoscere anche attraverso il soffrire: Siamo stati roccia d'accoglienza | d'infinito dolore, orrore sofferto narrato (4 ottobre, componimento presente ne La forma quieta, 2001). Questa via di conoscenza accomuna tutte le raccolte poetiche e narrative dell'autrice, e fa di una poesia apparentemente narrativa e descrittiva una poesia eminentemente spirituale, non nel senso dell’avere, ‘avere fede’, ma nel senso dell’essere, l’eckhartiano e poretiano ‘essere nell'essere’. Il regno della visibilità, senza annullare la sua realtà oggettiva, si fa ponte del celestiale. Non a caso “azzurrità” è parola-ponte che ricorre in tutta l'opera poetica della Fozzer, e chi più di un bambino, dei santi e dell'artista, capisce che – come anche scrive Anna Maria Ortese in Corpo celeste – «il mondo è un corpo celeste, e tutte le cose, nel mondo e fuori, sono di materia celeste»? Attraverso gli occhi, contemplando a distanza, il cuore-culla accoglie così in un abbraccio cullante ogni creatura del creato a qualunque regno appartenga, anche le creature disamate e terribili a guardarsi: vi sono bambini | già adulti, aggressive | le pieghe del naso, del volto; tragici | occhi già duri, lontani. Come | guardarli?

Tu ardi nel cuore,
creatura disamata

Recensione
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