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Il sole del pomeriggio

Costantino Kavafis nacque ad Alessandria d’Egitto il 29 Aprile 1863, ultimo di nove fratelli, e morì nella stessa città e nello stesso giorno della nascita nel 1933. Esce, oggi, per la casa editrice Biblioteca dei Leoni, Il sole del pomeriggio, con una esaurientissima prefazione di Paolo Ruffilli divisa in quattro distinti capitoli (Il mito dell’ellenismo, La memoria dei corpi, La vita, La fortuna).

Egiziano di nascita, dunque, fin da principio, nonostante la sua presenza in Inghilterra nei primi anni della sua vita, professò fin da giovanissimo la sua appartenenza, come poeta, all’ellenismo e alla Grecia rimase sempre fedele fino alla morte. Nonostante la sua forte attrazione per la poesia non scrisse molto, se si pensa che la sua opera omnia consta di poco più di 150 liriche più o meno lunghe. Nel 1951 John Magrovordato ne pubblicò l’edizione completa presso la Hogarth Press. Si interessarono di lui Ezra Pound, Margherite Yourcenar, Auden e Filippo Maria Pontani, che fu il più grande divulgatore in Italia della poesia di Kavafis (Mondadori, 1961, 1969, 1972). Per l’attenzione di Margherita Dalmati e Nelo Risi fu pubblicata nel 1992 un’altra edizione completa della sua opera.

Se si eccettuano poche liriche dedicate a soggetti vari, quasi sempre incentrati sulla vecchiaia, le poesie che appaiono in questa edizione curata da Ruffilli, sono composizioni, la maggior parte brevi, erotiche in senso spirituale e incentrate sulla bellezza dei corpi e sulla loro grande suggestione che accompagnò il poeta per tutta la sua vita, in parte consumata nella spasmodica ricerca della bellezza, e in parte nell’accorato ricordo dei corpi in cui la bellezza era incarnata, in una sorta di deificazione della natura che eleva queste riflessioni nell’aura pura della poesia. Kavafis non abbandonò mai la sua adorazione del “bello” in tutti i suoi settant’anni di esistenza. E le sue figure divinamente pensate riuscirono a portare la sua grande esaltazione della bellezza fino ad estremi di grande ed estrema profondità, anche e sempre con un tracciato gentile e sereno (“In quella giovinezza dissoluta/ si andava fondando il nucleo della mia poesia/ mi si profilavano i termini dell’arte.// Non duravano i rimorsi, cose vane./ E i propositi di frenarmi e di cambiare/ si bruciavano al più in due settimane.)

Il suo, infatti, era un amore assoluto, i suoi “corpi” sono trasformati, una volta visti e desiderati intensamente, in veri brani di poesia materializzata nella parola, con una semplicità unica e mai esaltati in proposizioni barocche o di effimere beltà (“Sforzati di custodirle da poeta,/ anche se è sempre poco quanto si può salvare./ Le tue visioni del fuoco dell’amore./ Ficcale, seminascoste, nei tuoi versi./ Sforzati di trattenerle, da poeta, quando si destano nella tua mente/ la notte o nell’abbaglio del pomeriggio.”)

Parafrasando la canzone “Love is in the air” in “Poetry is in the air” si può dire che Kavavis abbia perfettamente realizzato questa alchimia nella sua pienezza, materializzandola nella “parola”, prodotta dalla lirica nella lingua, in tutta la sua perfezione.

Recensione
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