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Notturno
Una vestale appassionata. Questa l’autrice di
cui vogliamo parlare: Maria Antonia Maso Borso e del suo accattivante libro
Notturno (Biblioteca dei Leoni, pp.157, € 13). Un’autrice rara, tenuto conto
della sua età davvero avanzata, e del suo straordinario estro, una maestra di
stile e di cuore che scrive su un argomento assai giovanile e pieno di passione
come l’Amore e la sua catena di sentimenti e batticuori, qui così limpidi e
veri. Si tratta di un autentico “notturno”, una di quelle sillogi che fanno
sobbalzare i cuori dei lettori come accadeva settecento anni fa ai tempi di
Petrarca. Vale la pena di dare subito un assaggio dello spirito poetante di
questo poeta dell’amore: “Drogata dalla quiete sonnolenta/ in balia di pensieri
confusi/ indago lenta e sfoglio/ l’anima più nascosta e le ragioni/ d’un poeta
che amo e che racconta”.
Questi versi come molti altri che li seguono
sono proprio lo specchio di tutto il libro che si inoltra in quella che potremmo
chiamare la trama di un racconto fortemente amoroso, dolce e appassionatamente
denso di quell’umore che di solito permea tutti i componimenti della stessa
specie che hanno così cospicuamente occupato il cuore e la mente dei nostri
stilnovisti. Ma qualcosa è cambiato nello scorrere dei secoli da quella
fortunata e meravigliosa stagione. Antonia Maso Borso è infatti una nostra
contemporanea e come tale usa le nostre parole e la nostra sintassi senza mai
cadere nella “copiatura” dei nostri maestri di quella lontana epoca forgiando e
riforgiando grappoli di parole che appartengono al nostro uso e alla nostra idea
di poesia, ma mantenendo intatto il bagliore delle metafore, delle accensioni e
delle beltà che così soavemente indoravano metafore, accensioni e bellezza di
quella grande epoca. “Nel rispetto delle scelte più varie/ mi dico che la vita è
troppo bella/ per fare della terra un’astronave/ e del sentire traccia/ lontana
di stelle cadenti”. Sembra che l’autrice si neghi alle virtù del nostro tempo e
rivendichi la sua bellezza nelle parole che la sua lingua “inventa” per indorare
la sua poesia, come in questi versi di “Poesia d’amore”: “Ti
abbraccio, ti stringo,/ ti copro di lunghe carezze,/ mi perdo, m’incanto senza
vergogna./ Vivo di te, del tuo sguardo,/ del quieto racconto.”
Verso la fine del libro però, ecco la
contropartita, la triste verità che tiene finalmente conto degli anni depositati
nella figura e nell’anima della poetessa: “Un po’ mi prendo in giro/ mi metto in
discussione,/ ma è così, sei arrivato tu,/ di canonico aspetto e di percorso/
anagrafico inadatto, quasi figlio./ Ti osservo disarmata/ frastornata/
dissennata/ afflitta/ da turbolenta felicità.”
“l’Arena”, 21 dicembre
2015
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Recensione |
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