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Orazioni dell'arte

Annamaria Cielo è conosciuta autrice di poesia e prosa. Con “ Orazioni dell’arte” siamo all’undicesimo testo pubblicato, dal primo edito nel 1984. I libri di narrativa raccolgono il suo percorso umano, da “Microcircò” al romanzo “Bruna”, dedicato alla madre molto amata. Questo nuovo libro, nella copertina prelude al contenuto con il quadro di Van Gogh – Raccoglitori di arbusti sulla neve - figure umane in cammino nel paesaggio invernale di un paese nordico, il sole al tramonto. Cielo indica il percorso sofferto dell’uomo … Il rosso dell’alba / fa come l’ottimismo, che ama / chi soffre ai suoi piedi /… / Uomo, neve, umiltà, ascolto: / la neve suona nell’aria. L’autrice che da tempo ha iniziato il suo viaggio-ricerca incamminandosi nelle stagioni esistenziali, trova nell’arte figurativa la similitudine, il riflesso che più si avvicina al proprio sentire. L’immagine apre il cammino verso “altro”, l’immagine è matrice di spiritualità, poi corrente ispiratrice, e infine approdo verso il reale. La poesia si appropria dei pensieri multipli che scaturiscono e li sublima in orazione, “in quel richiamo primordiale che niente ha a che fare con la religione, semmai con la religiosità” (premessa pag. 5). Si legge dello spirito libero da recinti, della nostalgia della religiosità aperta nella luce di ogni giorno e del bisogno di riconoscere la soglia, l’ingresso per altri territori e risposte legate all’anima, alla voce che sentiamo prima della parola.

“Quale che sia la risposta che offre, la fede trasmette il senso dell’infinito dell’esistenza finita dell’uomo: un senso che non viene distrutto dalla sofferenza, dalla privazione e dalla morte. Di conseguenza, solo nella fede possiamo trovare il senso e la possibilità della vita.” (L. Tolstoj)

Il testo vive di quattro parti, ognuna aperta da un pensiero. Ogni poesia ha il titolo del quadro di riferimento, il percorso sale dal male verso il Bene. La prima poesia – Sette vizi capitali – ha come dipinto l’opera di Bosch (1520 ca.): un incontro severo con la perduta bellezza e l’abbandono dell’Eden. Grave la parola che circonda infine “il letto premortale”: per salvarci “Chiediamo perdono al sogno di Dio. / Torniamo virtù come fossero remi le ali bianche !/ O sarà buio che usa lo spavento senza Dio.”

Il Credo, rivolto al Mosè di Michelangelo, si alza in crescendo e grida il perdono nell’amore che annulla e dimentica, sciogliendo il ricordo nella quiete ritrovata del mare: “Credo al perdono, se scorda tutto per amare. / Come le acque sventrate s’acquietano / a maremoto finito”. La nostalgia della bellezza perduta e la distanza dagli affetti più pregnanti si riconciliano all’alito della brezza di mare. Il mare ritorna …

Nostalgia, mare, vento, pietra, pietas, sono parole ricorrenti in tutta la silloge e diventano isole, fiordi, scogliere, insenature dove il mare deposita tutte le voci ascoltate nel viaggio, le narrazioni e gli sguardi, le musiche che seguono il cadenzare dei riti.

Duri i temi affrontati. Guernica ( dipinto monocromatico, le figure: quattro donne,un bambino, la statua di un guerriero, un toro, un cavallo, un uccello …) è “la città basca simbolo del dolore universale di fronte alla violenza della guerra e alla morte”. Ecco due versi incisivi: “Bianca di carne la morte // Il colore è morto, Guernica.” I momenti dialogici con le opere d’arte creano una fusione tra pittura e poesia: questo approccio trasmette il senso dell’indivisibilità delle arti, con una partecipazione che illumina, affascina e affeziona. Il mare è il leitmotiv che unisce lembi di dolore e pietà, lenisce e conforta come “l’acqua nativa capace di pace e di azzurro /  fa uguale a una perla / intorno a un grano di sabbia / dove si regge e cresce e di sé / fa un’altra vita” (Il fantasma azzurro –pag. 31).

“Dai filosofi impariamo che la cosa più importante nella vita è amare il Bene: amare il valore intrinseco ovunque possiamo trovarlo nella vita.” (Mark Rowlands)

Nella terza parte del libro, aperta da un pensiero di Gibran, l’autrice ascolta le voci che escono dalle pietre, si accosta direttamente all’essenza della pietra, all’importanza della pietra nella cultura e nella civiltà umana. La pietra usata come manufatto, scultura, monumento, camminamento, abitazione – la pietra del fulmine creduta portatrice di virtù magiche, le pietre della pioggia usate nel rito contro la siccità. La pietra usata dai poeti sta nella parola. Leggiamo ogni capoverso che rigenera la vita, la memoria, la Natura:

La pietra è felice //… / Il suo sapere è l’acqua/
La pietra è felice // … /e in petto ha semenze e foglie/
La pietra è pietas // …/ pace inviata da un sogno/
La pietra è viva //…/ fossile che sporge il mare/

Siamo arrivati verso la fine del viaggio, “un viaggio in moto lineare e non circolare “- come afferma Annamaria Cielo - cioè in un moto infinito dove l’uomo torna ai suoi doveri, ma l'impulso è rivolto ad altri mondi possibili, all’infinito: … / Tu mio viaggiare / oltre gli occhi tondi della mia stanza // alla quale ritorno, ritorno sempre / afferrandomi con le mani al mare. (Il ritorno di Ulisse – De Chirico pag.54). In questo viaggio l’uomo cerca di salire, più soffre più l’uomo cerca di “salire”: “Saliamo per dolore – pietà serve. / Il profondo si alimenta di uno sguardo dove riconoscersi. / Saliamo per sguardi. Pietà serve.” Sono versi cardine, che esprimono quanto la pietà sia l’unico sentimento che àncora l’umanità al bisogno spirituale. Si sente l’intimità del vivere e la forza di uno sguardo d’amore, capace di sorreggere, dopo le tante ferite, la voglia di rinascita. Amore, come “ Era bellezza che apre ai pensieri / molto profondi e ai nuovi senza malanno”, all’inizio, nel giardino dell’Eden.

“Non muore chi collega il proprio termine ai propri inizi. Dunque vagate.” (Eric J.Leed)

Recensione
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