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A quale Pessoa
un intimo colloquio di Edith Dzieduszycka
“L’impresa in cui si cimenta Edith
Dzieduszycka è davvero impervia: non è certo facile colloquiare con un’anima
poetica che è un coacervo di anime distinte e insieme confuse, di sensazioni
plurime e singolarissime, in un susseguirsi di improvvisi sussulti, avvistamenti
epifanici e sparizioni ancora più inspiegabili” (Silvio Raffo).
L’ultima raccolta poetica di Edith
Dzieduszycka, “A quale Pessoa”, è infatti un intimo colloquio col poeta
portoghese ma, come suggerisce il titolo, a quale “Multiplo / sparso a piene
mani” nei suoi eteronimi parcellizzanti si rivolge? La
poetessa ripercorre la vita , sin dall’infanzia smarrita, di Pessoa,
costretto a inventarsi, già all’età di sei anni, un compagno di viaggio,
amico muto e confidente per affrontare l’isolamento provocato dalle
vicende familiari: “Il padre un fratellino / scomparsi molto presto / una
nonna demente / un patrigno e poi // fratelli e sorelle a metà / ma soprattutto
tanti / i quali rubando a te / le premure materne // t’hanno fatto assaggiare
aspro / il frutto di quella solitudine / per te compagna musa / e sorgente
amara”. Assenza di calore materno, carezze negate, solitudine forzata che lo
accompagna nel suo ritorno in patria, ma “presto scelta e amata /
necessaria all’ascolto // delle voci nascenti” che scaturiscono dalla sua
mente feconda per sopperire all’umanità minuta che lo circondava
felice e innocente, esente da ogni dubbio.
Troppo forte la contrapposizione con l’uomo comune, simbolo di nessuno
che passa accanto inconsapevole procedendo verso un “qualche destino / grigio
come lui / grigio come noi / che lo sappiamo”. La consapevolezza non
riscatta quindi dalla miseria dell’esistenza, l’insonnia accompagna le notti del
poeta e “il sonno che si nega / scava una zavorra / fino alla
pazzia”. L’angoscia del tedio nelle albe ancora oscure assale
fin dalla soglia del mattino riversando addosso lo sgocciolio
insidioso “del lavorare / o sembrare lavorare”, peso già vissuto
che intralcia “i viaggi della mente / verso lidi lontani // profonda
sempre / comunque la coscienza / dell’inutilità perfino sordida / del
quotidiano”. Tuttavia lo sguardo disilluso trova ricompensa nella
contemplazione della natura, unico conforto, “cogli occhi incantati / del
bambino allorché muto / ammira l’arcobaleno”. Nella solitudine della propria
stanza immota la sua mente si apre al vento e alle rabbiose tempeste,
alla salsedine, al volo dei gabbiani e ai tramonti ramati. L’espansione è
totale, i monti, la luna, i fiori possono sostituire il nome di “un Dio
riluttante / sordo ai nostri appelli”, invisibile e muto.
Sole, pioggia e vento per il poeta diventano l’universo intero.
In questa biografia poetica dal
linguaggio immediato e fresco, scevro di toni ridondanti, nessun aspetto viene
tralasciato, non viene analizzato solo il “prisma infinito della sua natura”
con il “condominio gremito e saturo”, ma persino le riflessioni su
una mosca bluastra dal “luccichio ributtante”, nonché le emozioni
suscitate dalla scomparsa del barbiere che gli fa cadere addosso “come cappa
oscura / il peso insopportabile / della fuga del tempo” con la
visione delle tante perdite note o anonime come sarebbe la sua per gli altri.
Non vengono trascurati neppure l’abbigliamento e l’aspetto fisico: “Allorché
di mattina / radevi le smunte guance / prima di mettere / la
giacca il cappello / neri come loro”; “Sappiamo / quanto pesavi /
sessantuno chili / e quanto eri alto…// misure medie / da uomo medio / in
ambiente mediocre”. E scopriamo anche che Pessoa fu goloso di
trame poliziesche per quella sua propensione perversa sadica ad
esplorare e auto-analizzare il proprio lato oscuro.
La silloge è
suddivisa in due sezioni “Uno” e “Due”, se la prima tratteggia la
personalità del poeta e la sua vita interiore nonché piccoli eventi quotidiani,
nella seconda Edith esprime le emozioni suscitate in lei dalla scoperta di un
Fratello d’anima insostituibile. Inizialmente ignara delle molteplici anime
del Poeta, con passo risoluto si è inoltrata nella sua opera come in un
parco-gioco scoprendovi una foresta e un labirinto sempre più fitti: “E
così avvinghiata / trasportata dal flusso / del letto tortuoso / del tuo carsico
fiume // sono precipitata / nella trappola tesa / dall’inquieta arguzia / della
tua angoscia…”. L’immersione nel mondo di Pessoa è completa e getta nuova
luce anche nel mondo interiore di Edith poiché le sue parole hanno smosso “chiarori
sotterranei / sottili assonanze / magma indefinito” in cui la poetessa si
smarrisce.
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Recensione |
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