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Graffiante o
corrosivo, sarcastico o ironico, veemente o
dolorante, scabro o
pietoso, imbestiato o umano mai assolutorio,
è questo il
linguaggio di Pasquale Martiniello, poeta virile
– nell’accezione più
qualificante dell’attributo. Egli possiede
un troppo di tutto:
temperamento volitivo, carattere tetragono,
fantasia fervida,
cultura vasta, religiosità profonda e cuore di
carne. Martiniello
non è un aedo semplice menestrello di versi
improvvisati anche
se lucido: sul pentagramma della poesia
scrive, con
puntigliosa perizia, gli accadimenti di cui è travagliato
spettatore rendendo
manifesti i suoi pensieri materiali di
repulsione e di
insofferenza dinanzi alle iniquità, ai disvalori
imperanti nella
“nuova cultura tecnologica e mediatica”. Politica,
vita pratica, vita
dello spirito attraversate da diffuse, assillanti
problematiche gli
arrecano uno stato di malessere,
un’inquietudine cui
segue un senso di solitudine e di ribellione
impotente nel
contrasto drammatico e stridente di ciò che la
realtà è e di ciò
che la realtà si vorrebbe che fosse.
Elaborando un metodo
nuovo di trasmissione del messaggio
poetico, questo
sagace scrittore, attraverso trasversali e
concorrenziali
accostamenti, ritrae profili umani con i tratti
spregevoli e
ripugnanti di talune bestie, come le faine appunto.
Cacciatrici
carnivore, astutissime, accanite e malvagie, esse
fondano il proprio
benessere sulla sopraffazione e la violenza
cruenta, sgozzando
sprovveduti animali da cortile.
Similmente i
personaggi dell’arte politica, dell’amministrazione
della cosa pubblica
e le mille lobby globalizzate, in
una rete
indistricabile e ineffabile di complicità collettiva. “Sotto
il cappello della democrazia”
le faine umane annientano
l’etica, la morale e
la giustizia! Da ciò e altro ancora, il poeta
prende le distanze,
documentando con dati obiettivi le connotazioni
della Casta (senza
divinità), delle Logge, dell’Onorata Società,
al cui interno
collusioni e connivenze si innestano con
giudizi distorsivi,
false ideologie, loschi affari, e processi a cupole
aperte. Con tale
analisi, articolata ed attualizzata con cifra
stilistica
argutamente compiaciuta e senziente, la poetica martinielliana
diviene strumento di
provocazione per un dibattito interdisciplinare
costruttivo
(soprattutto nelle Scuole Superiori),
potendosi
trascorrere dall’antropologia alla sociologia, dalla
politica alla
economia, dalla filosofia alla teologia morale, secondo
gli odierni
orientamenti speculativo-apologetici. Pertanto
Pasquale
Martiniello, piegando i versi alle esigenze di una
comprensione
polidirezionale, su uno sfondo di confronto a tasselli,
con ponderata
gradualità, costruisce un suo mosaico accusatorio
suggerito dalle
dinamiche di disintegrazione dei “Lumi
e
degli Ideali”.
Così “la sua parola”,
angosciata dall’esperienza
del vuoto fobico di
una società piccolo-borghese, ne misura,
classifica ed
etichetta la “maschera”
priva di consistenza interiore:
“È
la borghesia l’eterno male | della terra Ideologie ed
economia | e mercato sono i rulli compressori |
di tanto sangue
di carne innocente | che purifica nell’ombra le
vasche | del
tempo della storia assassina...” (È la borghesia )”.
Come si nota,
Martiniello giunge
alla diagnostica attraverso l’anamnesi del
tessuto connettivo
del Terzo Stato dove, a strati, si è annidata
l’infestante
gramigna del “potere”
col suo fusto cespitoso. Corollario
dell’indagine la
semiologia soccorre ed orienta il medico
- Poeta a seguire il
percorso curativo sistematico con la ricetta
di “denuncia
“ degli
errori e degli orrori i cui nefandi sintomi
sublimali alimentano
la belluina malattia; “In questa
società
involgarita | vita da vermi di letame | striamo
Più di noi altri
intigriti | i rami arrostiscono della pace | Il
mondo sarà una
slavina di sangue | Parti di esso sono
deflagrazioni | continue
di polveriere impazzite...” (In questa società).
È dunque il senso
di una macerazione
interiore di fronte al Male imperante ovunque:
immagini
apocalittiche di fuoco, di torri in rovina, di stupro
di violenza, di
squarci, di terrore visioni tra allegoriche e
realistiche
dell’opulenza degenerata e della miseria innocente...
Un “infandum,
poesis, iubes renovare dolorem”,
che si tramuta
in scatto poetico
baluginante per illuminare le ottenebrate menti
e ricondurle,
giacché consapevoli, sulla via del rinnovamento
della realtà storica
e della vita politica ed economica, culturale e
sociale del
mondo-villaggio, di cui siamo parte. Come già nelle
precedenti numerose
pubblicazioni di opere poetiche, l’arte
scrittoria e la
saggezza, l’intransigenza verso se stesso, il coraggio
intellettuale, la
probità sono le note dominanti di questo veterano
pluridecorato Poeta,
la cui fede granitica nella poesia può
essere intesa, anzi
diventa missione educatrice, volano di futuro.
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Recensione |
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