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Maria Grazia Lenisa tra L'agguato immortale e L'amoroso gaudio

Grazia Lenisa, la "ragazza di Udine" che fu salutata come un'autentica rivelazione al suo esordio con Il tempo muore con noi (1955), ha recentemente festeggiato, come si usa dire, quarant'anni di fedeltà alla poesia con due opere fortemente impegnate, L'agguato immortale (Bastogi, Foggia) e L'amoroso gaudio (Lineacultura, Milano), che si possono indubbiamente ritenere non solo le sue opere più mature, ma anche tra le più belle dell'ultima stagione letteraria.

Con alle spalle un'esperienza così lunga (ricca di una ventina di titoli, più una decina di saggi critici), si potrebbe sospettare che M.G. Lenisa sia giunta ormai alla sua fase discendente, più o meno in coincidenza con l'arco declinante della vita: ed invece non finisce mai di stupirci perché Bárberi Squarotti, ogni nuova sua opera nasce "sotto il segno di una continuità che si ripiega inquietamente su se stessa, ha ingorghi, ripensamenti, slanci di perpetuati trionfi, improvvise voragini di mistica contemplazione, riprese altrettanto intense e violente di visionarietà erotica".

Ma il segreto più vero della intramontabile freschezza della poesia di M.G. Lenisa sta nel perenne rinnovarsi dei suoi moduli espressivi: passata attraverso una priora fase di quello che si disse, negli anni '50, realismo lirico movimento teorizzato da Aldo Capasso e diffusosi con successo in Italia e all'estero, é venuta via via scoprendo e precisando una più intima vocazione per una maniera tuta sua, originalmente risolta tra il simbolico e il surreale. Non a caso, con La ragazza di Arthur (1990), ha reso uno splendido omaggio a Rimbaud, il poeta "veggente" per eccellenza che, con Paul Verlaine, aprì la strada della "poesia pura", in sprezzante ripudio della tradizione. Su quella strada, a distanza ornai di oltre un secolo, si ritrova Maria Grazia Lenisa, ma non in veste di tardiva epigone, si piuttosto conte lontana erede e ideale continuatrice. Ma, si badi, con in pio, la lezione acquisita dall'ermetismo, dal surrealismo, perfino dall'espressionismo europeo e dallo sperimentalisnto linguistico della nostra neo-avanguardia. Il tutto rivissuto in proprio, senza rimasticamenti esteriori, rielaborato in una visione personalissima, degna del più vivo apprezzamento. Si comprende perché, soprattutto con le ultime opere, la poesia della Lenisa appaia irta di nodi interpretativi, almeno nei momenti culminanti delle sue accensioni liriche: vero è che, attraverso uno "sregolamento di tutti i sensi" del tipo rimbaudiano, tende ad una tasvalutazione onirica del reale, mediante raffigurazioni visionarie della vita e del cosmo. Per lei la poesia è essenzialmente percezione intuitiva, purificazione degli accadimenti umani e storici, esplorazione dell'ignoto e dell'assoluto. A giustificarla nella sua ardua impresa, c'è ormai oltre un secolo di estetica autonomistica, nemica dichiarata dell'arte come totale rispecchiamento della realtà, come documento scarno e spesso impietoso di quel che si dice il banale quotidiano. Si veda, ad esempio, la pagina d'apertura de L'agguato immortale, una sorta di avvertenza ai tenori su quanto devono attendersi nel corso del libro: "...prima dico gli abissi, la varietà del cosmo, | intreccio ibridi, creo animali di versi, salvo, | uccido, manipolo sogni e natura".

Realtà e fantasia, dunque, in vicendevole trasfusione, all'insegna di una inventività inesauribile e nella convinzione che "la Poesia è mistero" e quindi, per sua natura, "chiaramente oscura"; ma è anche "parola che si innammora, artificio supremo, la cultura/protesi meravigliosa, grande strumento conte la natura". Nell'inoltrarsi entro i meandri segreti del suo regno, la niente umana resta come prigioniera del fascino che emana da voci e suoni sovrumani: "Duttile la mente ascolta la divina orchestra, accosta | l'artificio del fiore al suo supremo alludere".

Si sarebbe tentati di pensare alla "divina foresta" di dantesca memoria, per l'armonia delle cose che vi percepiscono le anime in transito verso il recupero della purezza. In fondo, anche la Lenisa cerca affannosamente il suo Eden, in cui tutte le umane passioni, e debolezze, e insufficienze, vengano come filtrate e sublimate. Non per nulla far poesia per lei è anche e soprattutto un atto d'amore da compiere "all'ultimo brivido d'incontro", là dove "si accende il fuoco nella notte": "Mi scambio | con la morte, ho maschere dall'inizio | dei tempi di pelle giovane, grembo | aspro di prati e forze, dell'ortica | il fiore".

Ma se le accade che la parola non riesca a travasare tutto l'amore che ha per la vita, allora "piange la Poesia che sta a guardare, | morendo un po' più tardi sulle labbra". Ed è possibile che ciò accada, perché "Amore è vetta", da cui si precipita, se viene scalata "a mani nude"; "Amore è fame", che mai riesce a placarsi nel suo "insulto di crudeltà essenziale"; "Amore è morbo", ferita immedicabile che resiste a tutte le premure.

Si ripropone così, come nella grande poesia d'ogni tempo, l'eterno dissidio vita-morte, che Maria Grazia Lenisa riesce a comporre nel segno e nel nome dell'amore, da vivere come suprema avventura dell'anima: "D'amore tutto il dramma si riduce | pietosamente la parola cuce | gli strappi dell'amore mendicante. || Ora ha la parola per amante e pagala peso d'oro l'Avventura". Avventura dell'anima, si è detto, ma che non esclude mai rapporti di fisicità con le cose, anzi si ravviva sempre più in una sorta di cosmico abbraccio con la natura: "La vita che mi tocca, che mi suona, è nell'addio | per cui faccio l'amore col glicine, con l'aria polverosa, con la cosa vivente. | Perduta, sale alla gola | la parola amore come creatura che si perde | e dona."

La vita qui si fa tutt'uno con la poesia, e viceversa, ma non al modo decadente, con l'inevitabile sbocco nel trionfo irrazionale dell'io, con quanto di arido scetticismo e cupo pessimismo comporta. Maria Grazia Lenisa vive la sua avventura con "amoroso gaudio", tetragona a tutto il male che può insidiarla: -'Disperso amore in tutto, ti raccolgo in un piccolo | sito del mio corpo di femmina; non genero la vita, mi rinnovo".

E così la sua poesia ci impartisce anche, con estrema discrezione, una lezione di vita. Che non è cosa da poco, con i tempi che corrono.

Recensione
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