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Le ancòra chiuse figlie marinaie

L'altro Novecento
nella poesia italiana
Bastogi, 1995

Sapere che l'autore di questo – apparentemente strano – libro che s'intitola Le ancòra chiuse figlie marinaie è un medico specialista in psichiatria, al di là di ogni valutazione di merito, consente di penetrare una certa aria di mistero che avvolge le motivazioni che l'hanno ispirato.

Rossano Onano, senza farsi sostenitore di questo o quel gruppo d'avanguardia, per suo conto insegue un modello di poesia nuova facendo dello sperimentalismo senza mai sconfinare nel non-senso. Nell'arco di un decennio circa, non si è mai adagiato sugli schemi ripetitivi della tradizione, affrontando temi e problemi apparentemente legati al vivere quotidiano, ma in realtà riconducibili alle dimensioni esistenziali della coscienza contemporanea.

Proseguendo per la sua strada, con l'ultimo libro Rossano Onano fa della poesia-racconto che spazia dal sociale agli oscuri meandri della psiche, attraverso una minuziosa analisi dei dati più consistenti e corposi della realtà, ma anche degli aspetti più sfuggenti del sogno. La scelta del linguaggio corrisponde al variare delle esigenze e delle situazioni, sia che utilizzi l'uso vivo del parlato sia che sottilizzi al modo eloquente dello stile alto. Leggiamo pochi versi, ad apertura del libro: “Ancòra ancòra le vedo attraverso le sbarre dove mi apposto / portare le pagnotte, allungo la mano ad uncino, mi aspetto / per esperienza pregressa nella mollica una di madreperla / istoriata lima d'unghie, piccolina e poi / vestite di bianco molto visibili sotto la luna si / allontanano, i tacchi fanno rumore:...”

Comincia così una lunga “storia”, strutturata poematicamente, distribuita in ventiquattro lunghe lasse, in cui si addensano eventi e figure dai contorni indecifrabili, in un'atmosfera carica di presenze sorrette da forze primordiali. Sentite l'avvio della ripresa n. 8: “Scavano fra i mattoni, irrequieti, i bambini che sono rimasti / scalzi, hanno atteso per questo che i fumi si diradassero dalle / rovine, cercano i giocattoli sotterrati, le buone merende / rimaste, le magrissime mani ad artiglio delle madri rivolte / al cielo. / ...”

Il racconto procede ora a sbalzi, ora per incastri, con sorprese continue, senza una logica rigorosa, con momenti d'inquietudine, che si riflettono spesso in un linguaggio tortuoso. Si legga, ad esempio: “...e già sopra / le ciglia quasi come un'incipiente tensione / d'arco, sorda, ovvero una presunzione di assenza / di altrettante azioni significanti: (è) una / ora metodica arresa, una quasi sognata / attesa di una nuova regalata mattina.”

Qui e altrove si avverte qualche rischio d'artificio, molto vicino al tecnicismo freddo di un certo sperimentalismo linguistico degli ultimi anni. Noi preferiamo la dizione naturale, di cui Rossano Onano offre ampie prove, come nella penultima pagina, che comincia così:

“Si racconta di uomini miserabili, che vivono nelle fogne / che fuggono volutamente la luce, / hanno coloriti / dissanguati, possiedono nonostante nel loro regno donne sottomissive. Mangiano anche tenebrosi animali...”.

Il libro si chiude con una nota critica di Elio Grasso, che richiama l'attenzione sulla “fermezza gentile” della poesia di Onano, ma anche sulla variazione dei toni e stati d'animo che la informano. Interessante soprattutto la sua conclusione, che facciamo nostra: “...Dove c'è tensione e resa al sogno, càpita d'imbattersi in pagine euforiche, arricchite di voci dialoganti, da voci che si rincorrono per poi unirsi e procedere nel fuoco dei giorni controversi. In questi giorni ritroviamo territori che non possono morire come gli uomini che li hanno esplorati. Il riconoscimento della debolezza dopo la fecondazione, la voglia di viaggiare verso la periferia: perdersi non è un desiderio della poesia, ma l'aria agitata di questo libro impone un futuro di profondità soltanto sfiorate. Le femmine del marinaio forse otterranno libertà, amando invenzioni sul lato luminoso del mistero.”

Recensione
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