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Tra i più solidi acquisti che la storia letteraria di fine
Novecento può vantare dal campo delle scienze umane, quello di Rossano Onano è
davvero singolare. Nato a Cavriago nel '44 (ma residente attualmente a Reggio
Emilia), laureato in medicina con specializzazione in psichiatria, egli ha
sempre trovato nell'esercizio delle "belle lettere" non solo una valvola di
sfogo, come si suoi dire, ma anche e soprattutto il necessario supplemento di
verità umana che la verità scientifica non riusciva ad assicurargli. Si spiega
così perché, nel giro di appena un ventennio, egli abbia pubblicato più di una
decina di sillogi poetiche e addirittura due raccolte di saggi critici. Ed è
quest'ultimo dato, in effetti, che rende singolare il suo caso: l'impegno nella
critica letteraria. Abbiamo un gran numero, si sa, di medici poeti e medici
narratori (raccolti in una grande Associazione, che dispone perfino di una
rivista, "La Serpe"), ma pochi, per non dire rarissimi, sono i medici disposti a
leggere e interpretare le opere altrui. Ed è di Onano critico che qui si vuoi
parlare, avendo egli pubblicato ultimamente un'opera saggistica degna di molto
apprezzamento.
Molto vi sarebbe da dire sui titoli in genere che Rossano Onano
ha dato alle proprie pubblicazioni e dell'ultimo in particolare:
Il respiro di Cesare. un titolo forse misterioso per
tutti, desunto com'è dal cosiddetto "teorema di H. C. Von Baeyer"; ma misterioso
soprattutto per noi poveri letterati. Con opportune ricerche siamo riusciti a
sapere che si tratta, infatti, di una intuizione scientifica di un famoso
chimico tedesco, vissuto dal 1835 al 1917, che fu insignito del Premio Nobel nel
1905 per le sue ricerche e le sue scoperte negli studi chimici.
Per capirci qualcosa, trattandosi di un teorema applicato in
campo letterario, possiamo affidarci alla prefazione di Sandro Gros-Pietro,
editore del libro e valente poeta, che ci soccorre in questi termini: "il
respiro di cesare (usando la minuscola)...è metafora
di verità nascosta, di storia sotterranea, di scaturigine primordiale, di fiato
diffuso o di pneuma, soffio dell'anima che tutti unisce ed accomuna in un solo
cosmico palpito vitale".
Ci si scuserà
questa lunga premessa, fatta unicamente per meglio introdurci in un'opera dalla
struttura composita: intervallati o accompagnati a dei saggi su poeti ed opere
di larga notorietà (G. Bárberi Squarotti, Dante Maffia, Liana De Luca, Mariella
Bettarini, Gabriella Maleti, Mariella De Santis, Maria Grazia Lenisa, Veniero
Scarselli, Francesco Mandrino, Carlo Maria Milazzo), si possono leggere degli
studi organici su temi e problemi apparentemente d'altro interesse, ma che hanno
un forte aggancio con la sociologia e la psicologia letteraria, quali
"Omosessualità come difesa dalla disgregazione psicotica" e "Lo spazio, il
tempo, l'amore di madre". Il volume si chiude, poi, con una intervista
immaginaria, che risulta sostanzialmente un "dialogo sulla funzione
psicopatogenetica della poesia", che si svolge tra un giovane
patetico, "di luminoso entusiasmo", e un vecchio maestro,
insopportabile autocitazionista, che "accampa la propria smisurata esperienza
esistenziale". Per un problema di straordinario interesse, quale il difficile
rapporto tra il reale e l'irreale in poesia, Onano trae molti spunti di
riflessione da alcune pagine di Bárberi Squarotti e Dante Maffia, per i quali –
sostiene – "perfezione e disperazione coincidono", pur percorrendo itinerari
diversi nella esplorazione della storia umana. Liana De Luca invece, a suo
parere, perviene ad una
inquietissima "speranza di eternità, promessa dalla
fede". Per il trio Bettarini-Maleti-De Santis, secondo Onano, una opportuna
chiave di lettura si può trovare nella "introduzione della figura materna, così
forte (o trepida) da sollecitare la proiezione di sé su un modello di
donna-madre prepotentemente amorosa".
A lungo Onano s'intrattiene,
con due saggi specifici, sulla poesia di Maria Grazia Lenisa: partendo da alcune
liriche giovanili e soffermandosi, poi, sulle pagine mature di
Verso
Bisanzio (antologia dal 1952 al 1996) sulla scorta di
una "folgorante intuizione psicodinamica" di Jean-Jaques Méric, Onano giunge
alla individuazione dei "traumi" che Lenisa riesce a risolvere poeticamente.
Sulla base delle opere successive, soprattutto attraverso il mito di Arianna,
Lenisa si libera dal "trauma dell'abbandono" e scopre il "controllo superiore
dell'ironia", che le consente di vincere i legami con la realtà. Acute le pagine
dedicate a Veniero Scarselli, il quale, pur "nel nome
inconsapevole del padre", riafferma la dominante presenza della madre; quelle
dedicate al ricordo di Giampaolo Piccari, "un uomo grande e dolcissimo"
fondatore e direttore della rivista "Quinta Generazione", curatore di una
collana – per noi insostituibile – di antologie poetiche sulle varie regioni
d'Italia; quelle, infine, dedicate a Francesco Mandrino (visto nella sua
opposizione agli "ecologisti della parola, fautori nella circostanza,
estetizzanti e quindi poco viscerali, dell'uso del dialetto in poesia") e a
Carlo Maria Milazzo (autore di romanzi che sembrano angosciosi eppure
dilettevoli, in un gioco sottilissimo tra ironia, ansia e ossessione). Il volume
si chiude, come già detto, con un dialogo tra maestro e allievo sulla natura e
sulle finalità della poesia: l'allievo ritiene la poesia con "funzione cognitiva
e quindi psicoterapeutica", almeno "quando venga onestamente esercitata"; il
maestro, invece, la ritiene frutto di "un'operazione narcisistica, che è
esattamente l'opposto della conoscenza: si mette allo specchio ed osserva le
proprie qualità convenzionali, e come tali del tutto esteriori". Infine, in
armonia con l'immagine del poeta che oggi domina la scena letteraria, Rossano
Onano induce il lettore a riflettere sulla "sindrome di Cane Pazzo", il quale,
oggi come sempre, nella variante più egotistica rassomiglia "se stesso ad
un'aquila che, in luogo di ghermire la preda, si accontenta di sfiorarla con la
punta dell'ala", seminando pubblicamente sconcerto, pur essendo destinato ad
"essere ucciso".
Conclusione amara, senza alcun dubbio, eppure utilissima oggi
perché ripropone l'urgenza di restituire alla poesia un destino più umano, che
possa alimentare la speranza di una qualche sopravvivenza in un mondo desolato e
desolante come quello in cui viviamo.
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Recensione |
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