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Il principe e il contadino

L’aspetto che immediatamente salta agli occhi del lettore, sin dall’incipit dell’opera, è un evidente amore, quasi viscerale, per il lessico, per la nostra lingua, che Michele Manfredi-Gigliotti estrinseca nella accuratissima selezione di ogni vocabolo, di ogni singola aggettivazione. Ne risulta un “usus scribendi” del tutto peculiare ed inconfondibile, che è facile trovare, puntualmente, in ogni sua opera: la cifra letteraria di chi sicuramente corteggia la lingua italiana in una sorta di appassionato e devoto omaggio, con una non celata ossequiosa compiacenza.

Strutture espressive che si dispiegano attraverso la conoscenza approfondita di ogni infinitesimale sfumatura semantica, filtrata dal gusto raffinato dell’Autore. Coniugato altresì, all’amore per il mondo classico e per la mitologia. Anche i latinismi, gli arcaismi, i francesismi, questi ultimi dettati sapientemente dalla volontà di ricordare l’origine di Ruggero il Normanno, forme linguistiche di cui Manfredi-Gigliotti fa spesso uso, sono sempre e soltanto scaturigine di questa puntuale attenzione che l’Autore mostra per la nostra lingua, al fine nobile di sottolinearne con fierezza la sua antica origine.

Mai per uno sterile gioco di mera erudizione, piuttosto per indicare al lettore territori, magari nuovi, ove addentrarsi con curiosità e cedendo al fascino della conoscenza. Frequenti nel romanzo anche le chiosature in dialetto siciliano, abitudine letteraria quella della commistione del dialetto con la narrazione in italiano, già presente sin da Verga e Capuana, poi in Sciascia, Bufalino e Camilleri. Lo scrittore, ha poca voglia di assoggettarsi a regole e punti di vista che non siano dettati da una curiosità saporosa, ricca di fascino e di mistero, di indulgenza e pietà, di efferatezza e compassione.

Non sempre è generoso e indulgente: allo stesso modo può generare e uccidere, costruire e demolire… Talvolta è persino un despota. Perché poi se è anche uno storico, deve sottostare a delle regole rigide e inderogabili, che sono quelle della osservazione scientifica delle epoche, del contesto, dell’etica e della politica dei rapporti tra le classi sociali del momento in cui ambienta la storia. E questo compie Michele Manfredi Gigliotti, da rigoroso appassionato di storia, nello scegliere un epilogo ben preciso al suo racconto, che sia credibile, realistico.

Nel romanzo di Michele Manfredi-Gigliotti, il povero ha l’animo ben più ricco di un regnante e i suoi sentimenti sono forti e fragili con la stessa forza, allo stesso modo: capaci di tenere un segreto ma altrettanto capaci di ammalarsi per sempre, per un mancato ritorno, per un tradimento irriguardoso, per una partenza senza un adeguato commiato. Un’amicizia che si estrinseca in un paio d’incontri che rappresentano per il contadino e per il principe Ruggero d’Altavilla un’occasione straordinaria di intenso scambio emotivo, un contatto tra due realtà sociali lontanissime e totalmente estranee, carico della suggestione della furtività e dell’irripetibilità.

Manfredi-Gigliotti, calabrese di nascita, con la sua valigia piena di vicende e cultura è sedotto dai luoghi di Sicilia, che con fierezza e austerità lo hanno accolto e “adottato”. Ammaliato dalla nostra Terra, come altri illustri letterati lo furono prima di lui, sin dall’antichità: a cominciare da Omero, Ovidio, fino a Dante e poi viaggiatori e scrittori come Goethe, che tratteggia meravigliosamente la Sicilia in “Viaggio in Italia”, Guy de Moupassant, nell’opera “Viaggio in Sicilia” Patrick Brydone, in “Viaggio tra Sicilia e Malta” ed altri ancora, tutti descrivono con accenti di forte trasporto, la bellezza e lo splendore architettonico, la magnificenza dei paesaggi e delle testimonianze classiche presenti in Sicilia.

Manfredi-Gigliotti è lo storico che la sua scienza la cerca nella regia e nei luoghi per lui densi di vita, di fatiche umane, nelle campagne, dove le strade sono polverose e le vicende umane più toccanti e povere. Lungo i sentieri tortuosi e assolati delle colline di San Marco d’Alunzio, nei grafiti incisi sulle pietre e nelle caverne dei Nebrodi. Ci conduce pertanto, con un lessico dotto, in un viaggio alla scoperta dei significati profondi e della storia dei luoghi a noi vicini, che credevamo di conoscere, ma mai abbastanza.

Recensione
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