Servizi
Contatti

Eventi


Quando ci capita di leggere un libro come Un giorno di libertà, opera prima di Giovanni Di Lena (nato a Pisticci nel 1958, vive a Marconia), non dobbiamo mancare di estendere la nostra meditazione oltre i confini ed i limiti stessi del lavoro, coinvolgendo la tematica quanto mai aperta del ruolo occupato dalla poesia nel mondo di oggi; le questioni in gioco sono molte, il panorama è polimorfo e la sintesi improbabile. È la nostra un'epoca in cui l'emarginazione dell'intellettuale (e del poeta in modo particolare) non può essere ignorata.

Di Lena ha già chiara una linea di sviluppo che lo porta ad una speculazione tematica di ampio respiro. Egli ritrova la propria vena d'ispirazione in un impegno sociale che nella prefazione Daniele Giancane ha acutamente definito « una letteratura di opposizione, di invettiva contro i meccanismi di un sistema che continua a lasciare ai margini ampie sacche di disoccupazione e di disagio, più in generale di emarginazione sociale ».

La scelta è di stare dalla parte degli oppressi, dei disadattati, delle categorie di nuovi « lebbrosi » gettati ai margini d'una società spietata nelle proprie dinamiche. Tutto avviene a seguito di una spinta interiore dettata dal senso di appartenenza a questa difficile stagione dell'uomo, in un linguaggio semplicemente discorsivo se non ancora completamente essenziale. È proprio nei componimenti più articolati e attenti alla fenomenologia sociale che Di Lena riesce ad essere incisivo, concedendo sfogo a quella rabbia e passione che danno titolo alla terza sezione della plaquette.

Il poeta è uomo tra gli uomini, ne condivide le tensioni determinanti un quadro della vita (necessariamente mutevole) e dell'esistenza che nasce dalla profondità dello spirito, senza ubbidire ad un prefissato itinerario ideologico. È forse una mancanza di progettualità nel lavoro a determinare momenti di incertezza e di fragilità che si traducono in un segno non completamente adolescenziale ma che, tuttavia, proprio in virtù di questa labilità fa trasparire l'onestà di un trasporto interiore autentico. Questa scelta non può che essere salutare accettazione di una « sudità » non più compianta e combattuta, ma finalmente consapevole della necessità di un riscatto sociale (« combatterò l'ingiustizia del sud | che subiamo | e che ci fa restare ancora infimi | come dei bassorilievi » cfr. L'uccello in gabbia, p. 17).

Un giorno di libertà si rivela quindi campanello d'allarme e richiamo ad un ruolo attivo che ancora, senza alcun dubbio, la poesia può e deve ricoprire. Malgrado tutto.

Recensione
Literary © 1997-2023 - Issn 1971-9175 - Libraria Padovana Editrice - P.I. IT02493400283 - Privacy - Cookie - Gerenza