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I graffi della luna
È
l’astro più cantato dai poeti: la sua luce o la sua ombra eclissante sono state
invocate come guardiani dello scibile universale umano, sentimentale,
esistenziale ed emotivo. Il filo delle Parche, simbolo del destino, è avvolto
alle sue tre fasi. Così la scrittrice Roberta Degl’Innocenti ha intitolato, non
a caso, il suo ultimo lavoro poetico I graffi della luna.
L’intero componimento si distende su partiture e
semantiche musicali in cui il satellite privilegiato dall’occhio e dal cuore del
poeta, fa, sempre e ovunque, da sfondo, tramutandosi in un controcanto incantato
e magico, sacro nell’esplicarsi di una sana e spasmodica muliebre devozione alle
emozioni: lacrime, sospiri, sbadigli, sorrisi, ammiccamenti, seduzioni rese e
arrese al coraggio della propria identità femminile. In alcune liriche, la luna
è la vera protagonista cui ruota intorno la celebrazione dell’attimo, del
passato, della memoria, in una dondolante, frusciante, ipnotica nostalgia.
Il
ritorno ad uno stato perduto, sia esso la giovinezza, l’amore o l’amicizia,
riecheggia come sinfonia dolce all’udito, con versi che maturano lentamente nel
lettore ma che lasciano una traccia indelebile nell’interiorità, a sedimentare
emozioni nutrite di ricordi erotici e dannunziani incontri col maschile
perseguendo una istintiva sovrapposizione di stili in cui l’armonia di
sottofondo è scandita da similitudini e metafore di notevole intensità. Alla
donna, anzi a Ogni donna, è dedicata l’ouverture della silloge: “Nel
cuore di ogni donna c’è un segreto | un brivido leggero, un sogno strano,
| qualcosa
che si perde in turbamenti, | in ansie piccoline di canzoni | […] Noi donne siamo
esseri di vento, | di terra bruna al guizzo della serpe, | fronde di un’onda incerta
sulla danza, | farfalle stanche sui colori accesi | […] Se sante o meretrici non
importa | quando l’azzurro circuisce il cielo”.
La femminilità coincide col
movimento del vento, delle canzoni, con lo strisciare inquieto e misterioso di
una serpe, mondata della peccaminosa impudicizia di antico retaggio biblico e
ricettacolo di fascino misterioso legato alla Madre Terra e ai colori luminosi
del cielo. Le poesie di Roberta Degl’Innocenti, nel continuum ritmico dei versi,
sono a tutti gli effetti un inno alla libertà del gentil sesso incantato dal
potere di una luna che graffia (“I graffi della luna sono palpiti, | indugio
della veste, velluto nero | il tremito dei fianchi, ricamo | vagabondo sopra il
grembo”) ed incide sulla pelle le tracce del tempo, dell’amore anelato o
vissuto in prima persona in una sorta di confessione diaristica e lirica che è
segno e peculiarità di una sensibilità che trae la sua forza dall’immaginazione,
dall’esperienza e dall’uso emozionale di strutture empirico-poetiche sovrapposte
e mescolate all’animus energico di chi crede nei sogni, ma, allo stesso tempo,
ne cerca una possibile realizzazione nell’in fieri verticalizzato del
Tempo. Così le dinamiche della luce diventano gemiti alternati a battiti,
ritmiche successioni di palpiti, sbadigli o sospiri: il lavoro della scrittrice
equivale ad una sinfonia con trascinanti note rock dal carattere calorosamente
mediterraneo.
Degl’Innocenti si fa poeta-cantautrice di canzoni e melodie senza
tempo in cui la Luna diventa la portavoce soggettiva dei suoi stati d’animo: le
varie tonalità di luce sono indice di purezza, felicità, gioia o malinconia
nella ondivaga presenza dei chiaroscuri con la netta consapevolezza che: “La
luna dei poeti è una briccona, | promette spesso e non mantiene mai”, si
prende gioco dell’umana follia e come un Dio sornione, ma onnipotente: “Lei
ci ride di gusto prima di strappare, | fogli inquieti d’inchiostro e di stupore.”
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Recensione |
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