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Il neo-gotico è la marca
della Pavana di Veniero Scarselli. Questa «storia naturale della morte»
(sottotitolo) sembra sovente giustificare il timore della Kristeva che
l'inconsolazione della perdita, la depressione narcisistica, l'inafferrabile
sessuale – femminino ovunque "mostruosamente" materno – travolgano la volontà
catartica d'Orfeo. La Pavana è il poema delle baccanti, indubbiamente. Sovente
ne è il trionfo: "... a nulla vale penetrare e succhiare | quel corpo chiuso e
geloso di femmina | col disegno mortale e disperato | del parassita che tutto lo
svuota | d'ogni viscere e anima virgina li..."; "Eri la fertile terra da arare | e seminare, eri la giovane
bestia | sempre lascivamente pronta | col suo umido sesso | ... | eri regina e
madre del mondo".
Ma la baccante perde il suo regno cedendo alla Morto, che
viene proprio con la progenie di vita, la figlianza, sulla quale, tuttavia,
pareva trionfare in eterno: "... col cuore rattrappito | poiché nell'impari e crudele
corpo a corpo | tutta quanta eri stata prosciugata | come vescica." La
vicenda – maschio/femmina, figlio/madre, amore/odio, amore/morte – sembrerebbe
ancora di competenza psicanalitica. E non servirebbe il finale riscatto
biologico-trascendente per farne «presenza», lucida forma. Tanto piú che quel
riscatto è, infine, ancora la Morte. L'Assoluto come Morte. Mentre il grido
dell'Io pronuncia piú che mai la perdita narcisistica. Dov'è invece che questo
poemetto può trovare, ancora una volta, il suo riscatto formale? Là, nel suo
complesso fluire magmatico (di una densità verbale e retorica talvolta
illeggibile –biologia non come silenzio, bensí come assordante e costante,
uniforme, rumore) in cui il Personaggio-poeta si coinvolge in una visionaria
sermoclnatio. Che sovente richiama la Jerusalem di Blake: "Allora tutti i
Maschi si congiunsero con un Unico Maschio, e ciascuno | Divenne un vorace
dilaniante cancro crescente nella Femmina.", Tuttavia, malgrado la prima
impressione di lettura, non si ripete il sermone ininterrotto di Jerusalem.
Nella Pavana è importante valorizzare le pause nella sequenza interminabile dei
Canti relativamente brevi. In queste interruzioni – tra le ultime parole e un
nuovo incipit – si innesta un silenzio gotico (criptico) che giustifica
un'altra citazione: i sonetti funebri di Gongora. Si prendano questi esempi a
caso, tra una composizione e l'altra, tra l'ultimo verso di una e il primo
dell'altra: "buio cimitero della vita | popolato di spente creature", "A nulla vale l'ansia metafisica
| fra i nostri corpi atterriti toccandoli | e baciandoli", "Chiunque esse siano,
| evanescenti simulacri mentali che non
v'è luogo | ov'essa esista", "Quell'insaziata idea di bellezza".
Queste pause, tra l'analogica ossessione dei Canti,
raccolgono l'eco dei terrori, cristallizzando la morte nella distillazione di
una parola infine ansiosa di silenzi.
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Recensione |
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