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Còntame nona
Passione e ironia
Come diceva Zanzotto, servendosi più volte dell’espressione che nei
Vangeli e nell’Apocalisse designa il messia:logos erchomenos, “parola
che viene”, il dialetto viene “di là dove non è scrittura né grammatica”, parola
che rimane per questo “quasi infante nel suo dirsi”.
Il dialetto non è insomma
per Zanzotto “una lingua accanto alle altre, ma l’esperienza della stessa sorgività della parola”, qualcosa come la struttura stessa del linguaggio nel
suo nascere, nel punto in cui chi parla “tocca con la lingua (nelle sue due
accezioni di organo fisico e sistema di parole) il nostro non sapere di dove la
lingua venga, nel momento in cui viene e monta come il latte”.
A maggior ragione
voglio qui ricordare le parole di Zanzotto, per segnalare un libro di poesie
scritte in un dialetto veneto, e più precisamente il bassanese (sia pure
innervato di parole che suonano all’oggi), Còntame nona di Maria Antonia
Maso.
La Maso, degna erede di Zanzotto, usa una lingua immaginosa e felicemente
“particolare”, ricostruita dal presente e dal suo modo di reincarnare i
neologismi dentro il corpo del dialetto reinterpretato con una pronuncia
personale: “una lingua che è in grado di raccontare e di rappresentare
coinvolgendo immediatamente il lettore” non c’è dubbio, e capace di farlo
aderire in pieno alla passionalità, all’intelligenza e all’ironia dell’autrice.
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Recensione |
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