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Dei delitti impuniti e di amori infiniti
Una sorta di autobiografia per quadri, un repertorio
privilegiato della privata condizione, è il libro Di delitti impuniti e di
amori infiniti (Edizioni del Leone), di Ignazio Ippolito,
pugliese trapiantato a Milano. Si snoda come il racconto della storia di una
vita, per tappe e mete significative, attraverso luoghi di riferimento, in tempi
puntualmente decisivi per l’autore, che ne disegna per tratti ricapitolativi il
percorso. Un percorso, tra l’altro, seguito in parallelo dalle tavole del
pittore Bruno Tosi, al quale si deve pure l’intensa immagine di copertina.
In questo suo “pro memoria” riassuntivo di una vita,
ricordando le circostanze e gli eventi, le figure care e i maestri, Ignazio
Ippolito usa sapientemente lo strumento espressivo della poesia per non dire più
di quanto è strettamente necessario e senza dimenticarsi di quello che è
l’espediente sempre vincente, l’allusività. Allusività che raggiunge il massimo
degli effetti nella sezione finale degli “Amori infiniti”.
Non che molti dei “delitti impuniti” non siano
efficacemente resi sulla pagina, anzi ci sarà senz’altro chi li preferirà agli
“amori infiniti”. Quanto a me come lettore, non riesco poi davvero a fare una
classifica di preferenza e, alla fine, resto preso da componimenti come “Il
Pastorale” o “Il guercio” non meno che da “Requiem” o da “La gatta”.
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Recensione |
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