All'alba
di un giorno qualunque
Nel nuovo
romanzo di Anna Gertrude Pessina i personaggi hanno, talvolta, nomi altisonanti
(Ariele, Dunia, Verdiana) ma la vicenda è un ritratto amaro di quest’epoca di
“disvalori e disamore”.
L’alleanza tra una madre e una figlia contro lo stesso uomo, marito di Eva e
padre di Verdiana, incarna il rifiuto di un mondo ormai superato, ancorato
all’etica calvinista basata sul lavoro e sul risparmio, da parte di un universo
borghese godereccio e modaiolo.
Con i
suoi atteggiamenti antiquati e compunti, Ariele è il simbolo di un passato che
cede le armi di fronte all’avanzata inarrestabile del nemico, rappresentato
dalla società odierna dominata da avidità e cinismo.
Nel loro
arrivismo, Eva e Max appaiono decisamente affini e quindi attratti l’una
dall’altro. Verdiana, nella sua goffaggine, è la nota stonata: priva di una
forte personalità, subirà il fascino virile del bulletto e si lascerà manipolare
dalla madre narcisista e insensibile.
La
costruzione del periodo non è mai casuale in questo romanzo dallo stile
complesso, nel quale la lingua è utilizzata in modo creativo dalla scrittrice
che si è sempre discostata dai binari sciatti e ordinari su cui viaggia la
produzione letteraria corrente.
L’epilogo, oltre a sancire il parziale riscatto del genitore affettuoso quanto
incompreso, smorza la drammaticità di una vicenda dai toni tragici che, come un
gioco al massacro, si chiude senza vincitori né vinti.
La frase:
“La mente
conturbava. Si era guastata nel profondo Verdiana? Percepiva il male che stava
commettendo? Capiva che stava infilzando una lama nel torace di un uomo già
morto?”
|