Ascesa al regno degli immortali
Giunto alla sua seconda prova, Alessandro Pierfederici costruisce
un’opera ambiziosa che è, al tempo stesso, romanzo di formazione e affresco di
un periodo, la Belle Époque, colto nel suo declino.
Come nel precedente “Ritorno al tempo che non fu”, al centro della
storia vi è un personaggio tormentato e sensibile, Anton Giuliani, che coltiva
la passione per la musica con una dedizione tale da restare vittima di un
precoce isolamento.
Tuttavia, è proprio la solitudine il presupposto di un’arte tesa
alla sperimentazione e alla ricerca di sé: Giuliani incarna, infatti, il
prototipo dell’artista puro, nemico della mondanità e del successo facile, in
anticipo sui tempi e destinato a restare incompreso.
Consacrato alla propria vocazione, il protagonista è prigioniero di
una visione romantica dell’amore che lo porterà a idealizzare le numerose donne
incontrate che finiranno – se si eccettua la matura Helene, compagna ideale,
guida creativa e spirituale – per deluderlo.
Per cesellare il ritratto del suo eroe, lo scrittore trevigiano
mette a frutto la propria esperienza in ambito musicale, dimostrandosi abile nel
costruire una vicenda che, tra spostamenti spaziali e temporali, si snoda senza
intoppi, in particolare nella seconda parte in cui Anton, reduce dalla scomparsa
della madre, riprenderà il percorso artistico interrotto per ottenere il
successo agognato a fianco dell’affascinante cantante d’opera Katarina.
In un significativo passaggio di consegne Anton diverrà il punto di
riferimento di un gruppo di allievi, raccogliendo così la lezione del Maestro
Kohn che lo aveva incitato a non soffocare la sofferenza provata ma ad
esprimerla nelle sue composizioni.
Si può cogliere in queste pagine una critica a quel virtuosismo
sterile – in cui era caduto lo stesso Giuliani negli anni della sua formazione
– che caratterizza un po’ tutta la musica odierna (e l’arte in toto), così
compiaciuta della propria perfezione stilistica da non riuscire “a toccare il
cuore di chi ascolta”.
|