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Con la festa nel cuore

In questo notevole romanzo, che è quasi un saggio, Elisa Lizzi ripercorre il passaggio dalla civiltà contadina a quella urbana attraverso la vicenda di una famiglia abruzzese trasferitasi a Roma.

Centrale è nel libro la contrapposizione tra città e campagna, modernità e tradizione, nuove e vecchie generazioni.

“Se fossi rimasta nel paese non avrei colto la sua bellezza” confessa la protagonista che avverte la nostalgia della contrada di Rocche in cui ha vissuto l’infanzia e l’adolescenza.

Nella grande città, dove frequenta la facoltà di Lettere, la giovane non riesce ad ambientarsi né il benessere economico ottenuto può colmare il disagio prodotto dalla lontananza del borgo natio.

L’utilizzo del dialetto e l’incontro settimanale con gli abitanti della colonia di Roccatani a Roma rappresentano per lei un modo per preservare il legame con le proprie origini, custodendo la memoria di una realtà, contadina e adolescenziale, persa per sempre.

Le varie modalità di evasione – festa, rito, divertimento – indicano nel testo la successione delle epoche, la trasformazione graduale della comunità che, da arcaica, si evolve fino a non riconoscere più il valore delle tradizioni.

La festa per i paesani è un punto di riferimento in quanto regola la loro percezione del tempo e definisce l’approssimarsi delle stagioni. A luglio aveva luogo la trebbiatura, alla metà di agosto la processione dell’Assunta, pellegrinaggio legato al culto della Vergine e, alla fine dello stesso mese, la festa delle pannocchie – la scardocchiatura - momento corale accompagnato dalla danza e dal rituale del corteggiamento. L’ultima festa dell’estate era la vendemmia, seguita della degustazione del vino precedentemente maturato nelle botti.

Ogni autunno avveniva l’aratura che simboleggiava la rinascita del campo dopo la “morte” simbolica della natura in inverno, quando il paesaggio è spoglio. A dicembre si svolgeva, infine, la mattanza del maiale, nella quale il sacrificio dell’animale riveste anche un significato religioso.

Della civiltà contadina la scrittrice ha saputo trasmettere il fascino, dipingendo in modo realistico l’esistenza ostica di chi, nella lotta contro la natura e il clima avverso, beneficia del contatto con gli animali e del sostegno della comunità per cui ogni avversità, persino il lutto, trascende l’aspetto individuale per diventare un momento collettivo.

Una prosa coinvolgente e curata sorregge l’affettuosa rievocazione di una realtà ormai anacronistica, di cui reca un’ulteriore testimonianza la selezione di immagini provenienti dall’Archivio Fotografico Rocchetano.

Recensione
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