Fossa
Clodia. Quaranta brevi storie di terra e di acqua
La
protagonista di questi testi in prosa poetica è Chioggia, descritta con efficaci
similitudini da Renzo Cremona.
Il
paesaggio lagunare, in cui il tempo si misura a “mareggiate”, secondo il
crescere e il defluire della marea, viene definito in base agli elementi che lo
caratterizzano: le barene (terreni di forma tabulare sommersi periodicamente
dalle maree), le briccole (palafitte usate come ormeggio per le imbarcazioni),
le forcole (scalmi delle gondole e di altre imbarcazioni formate da un ferro
terminante in una forca dove è incastrato il remo), le peocère (zone adibite
alla pesca).
“Era
difficile accorgersi di dove finisse la terraferma e dove cominciasse la
laguna…”: con queste parole viene dipinta Fossa Clodia, nome primordiale della
città di cui l’Autore registra il declino con voce ferma e addolorata.
Luoghi
ma anche ritratti di gente qualunque – il coatto, il falegname, la rincretinita,
lo scontroso – animano tali pagine corredate da fotografie in bianco e nero.
Nell’accostarsi a questi tipi umani il poeta sceglie, variandolo, il lessico più
adatto, come nel citato “Il coatto” in cui non rinuncia alla forza espressiva
del turpiloquio accompagnandolo con un’ironia sottile che permea l’epilogo:
“quando la forza con la ragione contrasta, vince la forza e la ragione non
basta”.
Sul
filo del virtuosismo è, in chiusura, il dialogo tra il seccatore e l’estraneo,
basato sul noto proverbio locale “le parole non fanno buchi” che viene smontato
per affermare il contrario.
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