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La caduta dei santi- Racconti 1972-1973 / 2012

Dalla lettura dei racconti di Luciano Nanni si esce sempre un po’ disorientati come capita quando ci si addentra in un dedalo di vicoli e viuzze correndo il rischio di perdersi. Ciò si deve, da un lato, all’abbondanza di materiale proposto, dall’altro, al carattere ibrido della sua produzione, difficile da catalogare e volutamente frammentaria.

Alla predilezione per il mostruoso si accompagna la centralità della città, luogo grottesco di orrore e fascinazione al tempo stesso, una sintesi in cui si sovrappongono vecchio e nuovo, passato e presente, come nel racconto lungo “La prigioniera”.

Questo luogo dalle origini antichissime, su cui circolano leggende spaventose, è al centro di una vicenda continuamente sospesa tra sogno e realtà: negli incubi si manifesta, infatti, quel mondo oscuro, rappresentato da corpi ripugnanti e privi di forma, con cui l’io narrante anela a congiungersi in un’estasi in cui il piacere si mescola al disgusto.

La vicenda prende una direzione inaspettata quando il protagonista, infiltratosi nel sistema carcerario per indagare sul mistero delle origini della città, si invaghisce di una reclusa, una dissidente in procinto di essere condannata a morte.

Il richiamo dell’Eros diviene più esplicito nel racconto breve “L’addio”, in cui la contemplazione di una natura deturpata dall’inquinamento si sposa al desiderio morboso da parte del protagonista della creatura aliena affiorata dalle onde del mare.

Il rifiuto del reale, unito alla presa di coscienza della propria solitudine e disadattamento, è espresso attraverso l’utilizzo della prima persona e l’espediente narrativo del monologo interiore.

Come nell’altrettanto valido “Il dio senza testa”, la logica del narrare va ben oltre il mero intrattenimento e si esplicita in una sorta di sfida che lo scrittore bolognese lancia ai lettori, offrendo loro la possibilità di dare un senso – se non addirittura una chiusa ideale laddove manca del tutto un epilogo – alle storie raccontate, permeate da atmosfere cupe in sintonia con il carattere sinistro degli ambienti.

Ne è scaturita un’opera coesa, in cui gli scritti composti durante il periodo del suo apprendistato, il 72/73, si affiancano a quelli più recenti, risalenti al 2012, una meditazione sul mal di vivere che omaggia la migliore narrativa fantastica, da Lovecraft ai suoi epigoni.
Recensione
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