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La
soffitta dei pipistrelli dormienti
Se il
tardivo approdo alla narrativa da parte di Elisa Sala Borin va attribuito – a
suo dire - all’eccessiva timidezza, è anche vero che, rispetto ad altre autrici
la cui vena artistica è emersa nella maturità, la scrittrice trevigiana sia
decisamente più dotata.
I suoi
racconti, sospesi tra sogno e realtà, contaminano memoria e fantasia in modo
tale da non apparire mai gratuiti e autoreferenziali.
La
Borin ritrae un universo femminile non banale, la cui estrema sensibilità lo
mette in contatto con il mondo animale (“Annina”) e ultraterreno (“Il figlio
dell’avvocato”).
Sullo
sfondo di vicende narrate con sobrietà si staglia una natura percepita talvolta
come una presenza minacciosa (“Il sogno di Delfina”) e resa con una vivacità
quasi pittorica. Al lettore sembra di avvertire l’avvicendarsi delle stagioni,
lo scatenarsi dei temporali, il profumo della legna e dei fiori, a riprova di
un’attenzione al mondo della campagna che rifugge però da ogni stereotipo. Non a
caso, i personaggi vivono con disagio il distacco dalla città e, immersi nella
tranquillità del contesto agreste, scivolano spesso nella noia e nella
solitudine, alleviate talvolta dal ricorso alla tecnologia (“Amicizia senza
confini”).
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Recensione |
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