| |
Tra il Piave e il Soligo, né vincitori né vinti
Oltrepassata la soglia dei
novant’anni, Bepi Orlandi racconta nelle sue memorie il paese natio, Pieve del
Soligo, in cui ha vissuto fino alla fine degli anni quaranta. L’elemento
autoreferenziale è limitato, però, alla prima parte del libro, in quanto la
riscoperta di luoghi e tradizioni care allo scrittore si accompagna, in seguito,
alla narrazione di tristi episodi legati al secondo conflitto mondiale.
Il testo riesce ad essere, al
tempo stesso, una piacevole guida turistica e un resoconto di un momento storico
colto in tutta la sua drammaticità. Dal rimpianto per la genuina vita di
montagna si passa alla cronaca puntuale delle violenze belliche, perpetrate non
solo dai nazisti ma anche da serbi e partigiani fanatici nei confronti
dell’inerme popolazione di Pieve del Soligo.
Tra deportazioni e
rastrellamenti, la paura si diffuse anche nel paesino, noto fino all’8 settembre
del 1943 per la sua tranquillità. Nel fosco quadro generale si
distinsero figure eroiche quali il dottor Lubin e il martire Gino Grotto, di cui
Orlandi cesella un affettuoso ritratto. L’opera finisce
per essere un omaggio al Veneto con l’intento di preservarne, almeno nel
ricordo, la bellezza, minacciata dal degrado agricolo e dall’abbandono
conseguente alla forte emigrazione.
| |
 |
Recensione |
|