Ventilabro - Scotellariana
A dispetto della brevità, i temi trattati in “Ventilabro” – è il
caso della questione meridionale – ne fanno ben più di un poemetto.
Il volume di Francesco De Napoli trae ispirazione dalla lezione di
Rocco Scotellaro, sindacalista e poeta nativo di Portici che si batté, per
quanto la salute glielo permise, per il miglioramento delle condizioni di vita
dei contadini.
Diviso in quattro canti, il libro è sin dal titolo – il ventilabro
è lo strumento agricolo che consente di separare il grano dalla pula – un atto
d’amore nei confronti di una terra, la Basilicata, e di un mondo, di cui proprio
Scotellaro è stato il cantore, benché sia “ingeneroso nello stambugio
ingabbiare il tenace Rocco quale poeta d’una defunta civiltà contadina”.
Nei versi, che coniugano l’impegno politico e sociale con la
ricerca linguistica, l’omaggio alla propria terra non è viziato dal moralismo né
degenera in un sentimentalismo stucchevole.
“Ogni figliol probo del suolo lucano – celebrato o ignoto, illuso, sospeso o
vinto dalla storia – non può non dirsi socialista”
afferma nel II canto l’Autore che ritrae il declino di una civiltà arcaica,
soppiantata da un nuovo posticcio e artificioso (i discendenti dei briganti che
“s’atteggiano a borgatari industriosi”).
Per quanto riguarda le scelte linguistiche, De Napoli non ricorre
al dialetto, conferendo ai suoi versi una forza e una musicalità che seducono il
lettore e lo scuotono come un pamphlet non avrebbe mai saputo fare.
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