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Oggi vorrei salutare una bella iniziativa editoriale nel campo della poesia italiana, campo costantemente disagevole per chi lo pratica e poco curato se non da chi rappresenta da sempre il suo pubblico naturale. L’iniziativa cui mi riferisco è costituita da una nuova collana, coraggiosamente lanciata dall’editore Caramanica di Marina di Minturno (Latina), e intelligentemente diretta dal poeta e narratore Rodolfo Di Biasio e dallo storico e critico letterario Giuliano Manacorda. Il titolo della collana. “Le antologie della poesia”, è già di per sé indicativo del programma che tale collana intende portare avanti: a) una scelta significativa del lavoro globale svolto dal poeta antologizzato; b) introduzione critica che tracci un bilancio complessivo dell’autore in questione (scritta espressamente da uno studioso di letteratura) ; c ) un apparato bibliografico, preciso e completo del poeta.

Ho qui davanti a me i primi due volumi freschi di stampa (unitamente a un terzo curato da F. De Nicola e G. Manacorda, denominato montalianamente “I limoni”, che, anno per anno, farà un po’ il punto della situazione poetica sull’annata precedente con saggi, interviste, inediti, interventi e schede), rispettivamente di Lucio Zinna e di Leonardo Mancino. Nel primo, intitolato Il verso di vivere , viene presentata un’ampia scelta di testi scritti nell’arco di circa un quarantennio dal poeta nativo di Mazara del Vallo (1938), ma da anni trasferitosi a Palermo dove dirige “Arenaria” . De Nicola nell’introdurre il libro, parla di “discrezione e di “ironia” fra i tratti precipui del lavoro di Zinna. E devo dire che la lettura di questo poeta, il cui lavoro conoscevo pochissimo, mi ha appassionato molto e tenuto buona compagnia nel corso di quest’estate. Vi ho trovato l’antica melanconia mediterranea mista a una forte capacità visionaria e una lucida rabbia scrittoria che non indulge mai in se stessa. Vi ho trovato echi di poeti che mi sono cari: da Scotellaro a Sinisgalli. da Bodini a Cattafi, e poi migliori post-simbolisti Francesi, ma mai prevaricanti rispetto ad testo zinniano: tutto vissuto filtrato sulla propria pelle biografica e sulle continue capacità reattive dello scrittore rispetto alla realtà che lo circonda. Realtà spesso amara, nella quale Zinna è calato fino in fondo ma dalla quale egli riesce, al contempo, a tenersi distanziato per meglio (pre)vederla e interpretarla; sicché la sua poesia mi pare un’irriducibile ricerca di coprire la distanza fra lui e il mondo (nel quale egli pur sempre vive) attraverso la grammatica del pensiero poietico.

L’altro libro è L’utopia reale di Leonardo Mancino, poeta marchigiano (Camerino, 1939) ma per anni d’“adozione” pugliese, che ritengo fra i più notevoli della sua generazione, qui prefato da Giovanni Tesio, del quale mi piace riportare questo lacerto conclusivo: «[Mancino] non celebra i rituali del “nostos”, che è piuttosto il ritorno di chi ha tutto provato e conosciuto, ma avvia un processo di nuova conoscenza, se è vero che, senza rinnegare o negare nulla dei trascorsi, “la poesia è ansia, è desiderio, è amore per ciò che - prima d’oggi - sembrava improbabile”».
Recensione
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