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Verseggiatrice in lingua e dialetto, tra i
più importanti poeti trentini degli ultimi decenni, Lilia Slomp Ferrari è uscita
con la sua nona raccolta di poesie, Come goccia di vetrata (2008).
La raccolta, come la precedente, è pubblicata dalle prestigiose Edizioni del
Leone, dirette da Paolo Ruffilli, uno dei più noti poeti italiani, autore anche
della bella prefazione. Sinora i piatti della bilancia lingua-dialetto erano per
Lilia perfettamente orizzontali: vale a dire quattro raccolte in lingua
italiana (Nonostante tutto, 1991, Controcanto, 1993, Leggenda, 1998,
All’ombra delle nove lune, 2005) e altrettante in dialetto trentino (En
zerca de aquiloni,
1987,
Schiramèle, 1990, Amor porèt,1995, Striarìa, 2002 ).
Ora la bilancia pende a favore dell’italiano: ma, chissà, forse con il prossimo
libro di poesia l’equilibrio sarà ristabilito, a riprova che Lilia mette
perfettamente sullo stesso piano i due linguaggi. Nella sua prefazione Ruffilli,
parlando di “dominante della memoria” chiarisce però come “ il ricordo non si
esaurisce affatto nella linearità del passato ricostruito come filo del racconto
che si srotola verso dopo verso, ma si materializza nel ricchissimo intreccio
delle immagini a dare corpo a luoghi, oggetti e figure di cui sono colme queste
pagine.” Due lessemi presiedono a questa nuova raccolta poetica, due
parole-chiave, parole-topiche, ovvero “memoria” e “silenzio”. “Tendo la memoria
| come giunco per spiccare il balzo | di lucciole d’agosto prigioniere” scrive
Lilia nella lirica “Nell’ultima scossa d’estate” . La memoria dunque non come
nostalgico abbandono, ma come tensione, come arco che si tende con fatica e
pena. Dalla tensione della corda vibrante, le immagini, i versi legati al
sostantivo “memoria” (i corsivi sono miei): “Ricerca di memoria,
| di
storia a lieto fine, arringa | passione di una fiaba”; “ in turbini nevischio
dei ciliegi, | squassati da memorie primavera”; “ del pranzo digerito con
l’amaro | quando la memoria ha un’altra storia”; “ed è memoria
oltre d’aprile | l’aura regale che sparge | le sue ombre tramontana”. Per non
fare che alcune citazioni. Ancora più ricorrente è il sostantivo “silenzio”:
“…ora silenzio | e proiezioni fosche ai pascoli | alti…”; “il nostro è il
silenzio cifrato | di chi ha una musica strana | nel petto…”;” “Batticuore
di astri il tuo silenzio | paziente alla serrata strepitosa”; “…perché
rovina si farebbe il suono | come è schianto il tuono che lacera | il
silenzio…”; “Brinato di nebbia il silenzio.”; “Sudario il silenzio
| calato su di noi ”; “trafigge il buio l’alba silenziosa | funambola del
tutto nell’attesa. | Costante la tormenta dei silenzi…”.
In questa rete di silenzi e memorie
(l’infanzia, la nonna, la madre) che ogni volta cambiano di valenza; di magie
iscritte nel segno dei fiori e degli insetti (soprattutto le api, così care a
Emily Dickinson, poetessa di culto per Lilia); di smarrimenti, angosce e
presentimenti di morte si declinano i versi di Lilia Slomp Ferrari . Scrivendo
anni fa di essi, con la loro misura breve, con la loro leggerezza, con la loro
melodiosità li avevo definiti “metastasiani”. In seguito la Slomp li ha
progressivamente allungati, sino a giungere in questa raccolta alla prevalenza
quasi totale dell’endecasillabo. Lo confessa lei stessa nella lirica
“Ginocchioni a echi di follia” (in cui ancora una volta ricorre la parola
“memoria”): “Perché l’endecasillabo mi prende | alla gola, passaggio di memoria|
alla storia continua a studiare.”
Nella nota finale l’autrice scrive:
“L’endecasillabo è il ritmo dei versi che mi ha affascinato da bambina. (…)
Avevo imbavagliato la canzone, sorgente viva quasi strepitosa che mi pugnala a
volte a tradimento (…) E se fosse la musica del vento, il gocciolare fiacco
delle ore, l’ardimento di un verso sul dolore?”.
Coscientemente o no Lilia, nell’ultima
proposizione, dalla prosa sconfina nella poesia: guarda caso la proposizione si
può scomporre in tre endecasillabi. A conferma della melodiosità fisiologica in
questa affascinante poetessa trentina e dei confini tra prosa e poesia aboliti
nella sua visione del mondo.
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Recensione |
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