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Prefazione a
Ritmo lento
di Isabella Moretti
la
Scheda del
libro
Pina Frascino Panusis
Il libro di
Isabella Moretti Ritmo lento, ci è piaciuto molto, ma ancora di più ci è
piaciuta l'affermazione che la stessa autrice ha fatto in occasione della
presentazione della sua prima silloge "Affioramenti".
Dice la
stessa:"Scrivere è fare esperienza delle sfumature infinite che si distendono fra
i due poli estremi della morte e della vita". Certo la scrittura è in fondo
qualcosa di molto diverso dalla vita e dalla morte, che sono azioni
"immediate", "violente", "ineluttabili" ed "irripetibili".
La scrittura è
sì ogni volta una nascita, ma solo di ciò che emerge (Affioramenti"
appunto) oppure di ciò che vogliamo e plasmiamo con infinite sfumature.
Nascita e morte hanno il tempo brevissimo, la scrittura ha il tempo lungo.
In questo suo
secondo libro Isabella Moretti ha stabilito anche un diverso rapporto col
tempo; mentre nella sua prima opera ricalca il metodo cronologico, in Ritmo lento (sezione già segnalata al premio Montale 1977 - per gli
inediti), come pure nelle due sezioni che lo precedono, ella segue un ritmo
interiore ed un diverso ordine delle date.
Ma è ancora una
volta interessante ripartire da quanto la Moretti afferma circa la scoperta
della poesia. Insistente questo suo paragonarsi alla terra (che ha poi un
riscontro continuo nella sua femminilità con molteplici significati) che
ingloba e seppellisce tutte le esperienze del vivere fin quando cominciano
ad affiorare frammenti in cui prima la poetessa inciampa, poi
fugge, rammenda, infine matura una figura materna ed acquista coscienza della
propria nascita, una identità separata, ma non dimidiata. La poesia le dà la
forza di tradurre, ossia trasportare sulla carta legami ed
affetti con un metodo che la Moretti chiama corporeo-viscerale.
Su tale metodo d'altra parte l'autrice sembra insistere se constatiamo
che ci viene sottolineata una frase della filosofa Maria
Zambrano, tratta da "La tomba di Antigone" che suona così: "Ha viscere di
luce la terra". Sappiamo che Maria Zambrano avvertiva dolorosamente la
sterilità dell'incomunicabilità tra il mondo femminile domestico e quello
maschile pubblico,tra il "nous", la mente che crea, e l'anima
che vive in intimo rapporto con la realtà fino a farsene schiava. Per questo
sognava un essere umano integro che realizzasse "il prodigio di vivere fra
i due, conseguendo il nous senza perdere l'anima, addentrandosi
nella libertà senza annientare né umiliare la vita delle viscere". Nella
ricerca di una libertà diversa da quella inseguita "dalla avventura
maschile", oblio del reale, volontà di potenza che annienta, perdita
dell'anima, Maria Zambrano seguiva i percorsi tracciati dalla passione
femminile ed Antigone ed Eloisa le apparivano figure pioniere che
attraverso una passione vissuta fino al
sacrificio raggiungevano una consapevolezza superiore. La Zambrano le definisce per questo
figure aurorali. L'aurora è una promessa di luce che emerge dalle tenebre che
l'hanno generata e con cui mantiene un intimo legame. Il mito
dell'Aurora è l'immagine di una libertà non assurta a divinità, non
irrigidita in simulacro; l'Aurora è un dio sconosciuto che condivide con
l'essere umano la passione di attraversare l'inferno e le tenebre per poter dare alla
luce, ogni volta, il proprio essere. Abbiamo voluto sottolineare
queste affermazioni della Zambrano perché nell'esaminare le
poesie di Isabella Moretti ci è parso di esserci imbattuti in un vero e
proprio testo, un libro di poesia insomma confezionato in una solida struttura che
si apre appunto con una poesia aurorale e si chiude con "ritmo lento", una
poesia strutturata anche visivamente a forma di imbuto,quasi un cuneo nella
terra.
Nel frattempo
la Moretti, nel tentativo di giungere ad una figura aurorale, ha tracciato un
percorso in tre tappe, la prima "Cronografie" in cui l'autrice
sembra andare in su e giù fra deliri d'impotenza e di esaltazione, la seconda
"Circostanze", riservata agli accadimenti, a ciò di cui si ha in
qualche modo memoria, che è scoperta, intuizione, piacere timido delle proprie
relazioni fino ad uno spiare, ad un sogguardare per vedere come gli altri
vivono, in una sospensione di giudizio ed insieme una partecipazione ed una
"pietà" in quanto l'altro ci riguarda con quel "fraterno" che prima non
c'era; prima di giungere alla terza tappa in cui si acquisisce anche una
maggior perizia tecnica che permette alla poetessa non più sbalzi affannosi
di luce e d'ombra, ma un "ritmo lento" che si avvale della capacità di poter
giocare con la parola:
Sillaba
fragile e netta
fronte di
narvalo
oceanico
tenera punta
di diamante.
Mia salvezza.
Dobbiamo ora
riprendere il filo del nostro discorso interrotto per far spazio alle tesi
di Maria Zambrano e della sua appassionata discepola, per aggiungere che
mentre possiamo essere d'accordo con la Moretti che la sua poesia ha sì
movenze corporeo-viscerali dalle quali però s'innalza in modo talvolta
superbo, non siamo completamente d'accordo su questa identità separata.
L'impressione che noi abbiamo ricevuto è quella di una figura di donna non tanto in antitesi
con la nonna o con la madre (vedansi le poesie ad esse dedicate) quanto con
se stessa, anche se poi, tutto sommato questa dicotomia è vissuta con
gioia, con ironia, con una certa ineluttabilità ed inserita nel più alto
contesto della natura (vedi Filemone e Bauci). Volendo
sintetizzare l'andamento di tutta la poesia di Isabella Moretti,ci pare che essa
si rigeneri e si alimenti entro l'immagine della terra (vista come potenza
generatrice al femminile e come stirpe) secondo un percorso di esperienze
contrapposto: notte-giorno, ruvido-velluto, pieno-vuoto, velluti-rovi; il
che si badi bene, non ne costituisce il limite, bensì il pregio che le
permette impennate liriche proprio perché la luce si mantiene in quanto c'è
talvolta il buio. Tanto più grande è l'estasi amorosa, quanto più assidue le
quotidiane durezze. Una "dicotomia" cosciente, che
non si compiace, né tanto meno urla feroci grida femministe, quanto invece si
giudica impotente (vedi la poesia "Ritmo di globi"), ma che si trova
sorretta dall'equilibrio della primissima amica Ornella che nasconde sempre
la chiave sotto lo zerbino, (strade inventate / per la tua e
per la mia / libertà. Da "Affioramenti"), dalla dignità della madre (Imparo a
piangere / da te / dolore e amore / e non mi copro gli occhi, / né ho
vergogna), dalla dolcissima nostalgia della nonna lombarda: (L'unica
camera apriva / quella chiave e dentro / il letto grande col coltrone / eppure /
tu, nonna lombarda / intricata, sommessa, risoluta, / la pelle opalescente di
bambina / mettevi nelle orecchie mie di gazza /ghirigori di neve
e di cumino), fino ad esplodere forse con maggiore coscienza di fronte alla
vita nuova della figlia: (Dov'ha posato l'ali la magia/ di vite intere /
racchiuse in un istante? / Riti di nascita, di morte / e matrimonio, di
sangue mestruale,... / Ti guardo figlia /abbattere a sassate un corpo / nudo
ai giorni] Poi quatta ridere e tacere./ non ci sembra
azzardato scorgere in tutte queste figure femminili che si legano saldamente
ad anello formando una lunga catena che rappresenta il vissuto e il vivente
di Isabella Moretti, una continuità del sentire femminile.
Non è
secondario constatare che sebbene la pelle sia "il contenitore" privilegiato
ed esaltato della somma delle sensazioni di Isabella Moretti, il silenzio e
l'immobilità sono invece i limiti calcolati ed imposti entro i quali si
riassaporano e si valutano entusiasmi e tedi.
Le parole
chiave della poesia di Isabella Moretti che più spesso ritroviamo sono quasi
sempre le stesse: ferme, muta, ferma e silente, tacita la pelle (della
madre),niente succede da nessuna parte,fino a quell'ultimo complice
atteggiamento della figlia: "Poi quatta ridere e tacere".
Abbiamo
accennato al valore che la Moretti attribuisce alla terra e quindi a se
stessa come donna generatrice, ma vogliamo sottolineare come in questa
seconda silloge si faccia anche ricorso al mito. I miti scelti in
effetti sono due,quello già accennato di Filemone e Bauci, delicatissima
poesia di grande ricercatezza lirica, nella quale si percepisce come una
metamorfosi amorosa che ingloba mondo vegetale ed animale e quello della
medusa. Miti in verità molto diversi fra loro, ma nei quali possiamo cogliere
proprio i due aspetti contrastanti della personalità femminile della
Moretti. "Medusa o della diversità" forse rappresenta una delle tre Gorgoni
a cui si paragona l'autrice, l'unica mortale, fanciulla mutata in essere
terrificante da Atena per essersi unita a Poseidone. Fu uccisa da Perseo, che
evitò il suo sguardo che aveva il potere di trasformare in pietra chi a lei
si avvicinava. A noi sembra di constatare però, leggendo la poesia, che
l'autrice si sia appropriata di questo mito facendone qualcosa di molto
diverso dall'originale. Tre sono gli elementi in
cui la poetessa "si riconosce" : i tentacoli o i serpenti che infuriano
nella mente, gli occhi che non pietrificano, ma che solo perdendosi nella
valle permetteranno di accarezzare se stessa e la natura e le labbra, che si
implora le vengano lasciate: Una medusa quindi molto più solare e tenera in
quel contatto di labbra nel quale sembra raccogliersi tutto il suo potere
prensile di donna-creatura e spegnersi il fuoco che l'attraversa, esternato
nella metafora dei serpenti e delle foglie secche. Bauci e la Medusa sono in
fondo la stessa donna, la stessa capacità di riconoscersi come creatura
vivente e viva, anche se nella poesia successiva questa stessa donna ancora
simboleggiata (bocca-valvaconchiglia) sembra ineluttabilmente chiudersi in
un punto d'inchiostro ingurgitato dal mare e la poesia viene sigillata come
molte altre volte, da una chiusa
estrema: lo sono il punto d'inchiostro / della fine, pece / a sigillo d'esito
infelice.
Un altro merito
di questa raccolta di poesia ci sembra la modestia con cui la Moretti
affronta tutto ciò che è oltre il sé. Mentre per le sue verità la poetessa appare
molto sicura per averle sperimentate e macerate, il mondo esterno, il mondo
della storia entra quattro o cinque volte al massimo in questa silloge
(poesia ad Alex Langer, ad Alda Merini, alle voci della TV ecc.) e sono flash
inseriti qua e là a cui non è toccata la dignità di una sezione.
Del resto la storia come "agire umano" interessa poco la Moretti, che si
scopre come ad una finestra affacciata sul mondo,di cui però sente di non
avere le chiavi d'accesso per decifrare la realtà.
Isabella
Moretti la storia la soffre più di quanto non la comprenda e riteniamo che
proprio questo suo atteggiamento più modesto e molto meno pretenzioso di
altri poeti di ieri la avvicini ad un sentimento che è oggi molto diffuso.
In quale buco / è rotolato / lo smeraldo rotondo / da cui zampilla / a tutte
l'ore il mondo? / Specchio bacato / incapace di assolvere /
il profilo e la faccia / dei poeti, / spudorato disveli / la fitta ragnatela / dei
traguardi falliti / delle risate arcane / dei segreti traditi. Oppure: Polveri e
rombi / frantumano le strade / laccano i vetri / saturano i pori. Accade il mondo./
Spine.
Per concludere
potremo dire che la poesia della Moretti,costruita in forme moderne, ricchissima
di suggestioni musicali e visive, nonché di un bagaglio linguistico che gioca
continuamente sull'allegoria, ha una notevole presa sul lettore e forse ancor
più sulla lettrice, per la sincerità dei trasalimenti come degli esiti.
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