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L'arte di cadere
L’amore come un cadere
Il perno, intorno al quale ruota l’ultima
raccolta poetica di Raffaela Fazio, L’arte di cadere (2015) è costituito
dalla poesia C’è un amore, ove si dà la definizione di due espressioni
d’amore. Anzitutto, “C’è
un amore / così facile in natura / che ti
mette ai ferri corti / non contratta / non riparte quando arriva / pur cambiando
mentre dura / e non lascia alternative”. È l’amore materno, celebrato nelle
ventidue liriche della sezione sesta Un’ossatura per il volo.
L’apparentemente ingenua, forse scontata confidenza fatta ai figli: “C’ero / sul
più bello / quando siete nati” (C’ero) è nella sua dorica maestosità un
solenne magnificat al momento del parto. Senza mai staccare lo sguardo
dai suoi bambini, la madre ne osserva la crescita nel loro “impennarsi come la
punta sonora / di un campanile” (Oggi c’è nebbia e torpore); scorge nei
loro balbettii e nei loro disegni maldestri il mondo farsi “come lui
vorrebbe” (I disegni dei bambini); li sprona a esercitare il loro
“sacrosanto diritto” di prendere il tempo “a manciate / da veri padroni” (Avete
ragione); celebra i momenti di tenerezza intensamente vissuti con essi (La
notte vi ruba) ma anche i momenti delle loro impunità (Tregua) e dei
loro silenzi (Coincidenza). Le indicazioni cronologiche, che accompagnano
quasi tutte le poesie dedicate ai figli, sortiscono l’effetto di fissare i
momenti narrati in un perenne nunc. E se il passato dei figli è visto
dalla madre nella nostalgia della propria Innocenza (Quando ti vengo incontro)
e, ancor più indietro, nell’agire della propria madre (In un cielo pulito:
toccante è qui l’accostamento del destino alla verità), imperscrutabile, invece,
resta l’onda che porterà i figli in riva al mondo, e irreperibile è il
filo d’oro che teso si dipanerà accompagnandoli nella loro esistenza (Inerme
è questo campo). Efficace antidoto contro le insidie del futuro resta
“l’amore mangereccio” materno (Adesso e quando crescerete), che tale si
preserverà anche quando, pronti “a ricreare la vita” (Portami), i figli
dovranno allontanarsi dalla madre: “Di sicuro / io ci sarò / ma voi sarete
altrove / quando vi innamorerete” (C’ero).
All’amore materno si contrappone “l’altro”
amore, quello “complesso / sempre in cerca di se stesso / col difetto / di
mutarsi in quel che teme / o in ciò che spesso incontra / così che non è sicuro
/ quando e come - se c’è stato - / sia passato. / Ma lo dico ancora mio” (C’è
un amore). È l’amore erotico, le cui varie dimensioni sono affrontate nelle
prime cinque sezioni della raccolta. Nella prima Alter ego, dominano la
tensione tra sensualità carnale e “qualcosa che materia non è” (Vorrei con
tutto il corpo); il desiderio che l’eros si disveli come “uno spasmo di
luce” (Nei pomeriggi di calura); la consapevolezza che il piacere
dell’eros (e/o della sessualità?) sia confine di esilio: “Mi lascio attraversare
/ come zolla / di confine / sapendo che è esilio / anche il piacere / là dove
irreparabilmente / ci sradica la gioia / dal fondo di un istante” (Mi lascio
atraversare). Un sommerso senso d’insoddisfazione e d’incompletezza insidia
le fondamenta di quest’amore propriamente erotico; non basta che l’amato torni
nel recinto delle tempie e nella mente; occorre che egli “come un’eclissi
ritorni nel cuore” (Verosimiglianza).
L’amore erotico, si sa, richiede molta destrezza
(Quanta destrezza ci chiede questo amore); se non si fa attenzione, esso
poco alla volta si perde (La mezzanotte) e si dissolve. La sezione
seconda Vuoti d’aria è dedicata alla definizione del sentimento che
accompagna la fine di un amore. Questo sentimento è come un “suono cavo” (Ignaro),
un “portello chiuso” (Trecento cubiti), “una saracinesca abbassata” (Il
mio unico cliente), “un segmento né bianco né nero / che si fa più
consunto” (Ho visto un angolo invariato). La fine di una storia d’amore
preclude ogni possibilità di ritorno al gesto che teneva stretti: “Perfino le
parole / una ad una / sarebbero a ogni snodo da rifare” (Lo stesso è lo
spazio del saluto). Un’apatheia stoica, immobile incolore ovattata,
domina sui sensi: “Oggi consegnerei i miei occhi / a un amore qualsiasi / per
sfilarteli da sotto il naso. / Ma tu mi lasceresti fare. / E in più mi ridaresti
/ del nostro non vissuto / un altro giorno a caso” (Nonchalance). Il
sentimento della fine di un amore trova la sua più appropriata definizione,
apparentemente contradditoria, nella “serenità” (L’ho scorta infine),
che rende anche questo amore finito “un amore ancora mio”. Il rovesciamento di
prospettiva qui proposto, che definisce amore un amore conchiuso, costituisce
uno degli elementi più originali della raccolta. Il recidersi definitivo della
storia d’amore qui allusa doveva avere per Raffaela Fazio un’importanza
esistenziale profonda, se è dai versi di questa sezione che è tratto il titolo
della raccolta intera (L’ho scorta infine).
Le sezioni III-V sembrano corrispondere a
tre diverse fasi di una medesima storia d’amore. Nella terza Prossimi
all’impatto, prevale l’attesa dell’annuncio di lui alle frontiere (Arrivi
lì lì); si attendono i primi momenti del suo assedio (Dove sono); si
vivono con trepidazione le prime resistenze verso l’impatto (Vedovo è il mio
ventre della tua mano); si giunge alla dichiarazione dell’incondizionata
resa (Ti sono rimasta). Nella sezione quarta All’indietro, il
pensiero dell’amato è “come uno svenire / un dolce crollo / senza fine”; ormai
“La caduta può iniziare / da un mignolo una spalla / una parte qualsiasi del
corpo / che verso te s’invola / a peso morto” (All’indietro). L’eros è
vissuto come uno “scricchiolio volubile alle mansuete estremità” (Mi abita
uno scricchiolio), un “tamburellare improvviso della tempia” (Grecale),
uno “scandire di ginocchia” (Scandire di ginocchia), un riemergere di
residui di “allegria distratta” (Ci siamo già lasciati). Pacatamente
provocatoria e sensuale, la poesia di questa sezione nasconde e svela momenti
densi d’inaspettato erotismo, confessa cripticamente liceità concesse (Consigli
per quando mi pensi, Se di te). La sezione quinta Provocazione al cielo
è un maestoso canto di gioia all’amore. Con le sue ventitré liriche, questa
sezione è la più lunga della raccolta. In ogni poesia si coglie il tentativo di
rimodulare la definizione dell’amore, ormai non solo erotico. Amare è abbandono
totale (Non ti chiedo il conto), è non avere “diritti da accampare” (Se
dico Amami!), è sentirsi stretti con l’amato entrambi rinchiusi in un
fazzoletto (Il cielo ha raccolto). Amare è conflitto di amore-odio (Arràbbiati)
e rodimento di gelosia (Lei). Amare è “vedere te / a dismisura / con
dieci fusi orari addosso / come un gatto / grigio nero bianco marrone rosso /
che a balzi esce da questo vulcano / e si porta sui baffi sul pelo / di tutto /
nani giganti pesci con le ali carboni diamanti / e persino / le ragnatele del
settimo cielo” (Affermano alcuni). Ma, soprattutto, amare “È una
provocazione / al cielo” (L’incidente).
“Poi c’è / Dio” (C’è un amore). La
questione Dio è affrontata nella sezione ottava Spiovente costellazione,
scrigno di sette graziosi gioielli. Dio è
“incomprensibile e reale. / Come la vita che non scade” (III). Dio ha gli occhi
“più veloci / di ogni tradimento” (II). L’amore che Raffaela Fazio nutre nei
confronti di Dio è “un amore piovasco” (V Camouflage). Se i versi
dedicati all’amore materno sono diafani e luminosi; se, per il loro argomento
delicato, i versi dedicati all’amore erotico sono elusivi vaghi sfuggenti,
quelli dedicati a Dio sono apofatici mistici segreti. Difficile è stabilire se
in essi prevalga la constatazione di un’assenza da parte di Dio o, piuttosto,
l’ammissione di una distrazione da parte della poetessa nei Suoi confronti. Mi
soffermo sulla seguente preghiera: “Lo so, il giorno ci divide. / E non ho
scuse. / È ormai da tempo / che non faccio caso / al moto di presenze / confuse
nel vino della vita. / Ma quando ieri sera ho messo / la testa sul cuscino / ho
sentito finalmente quanto / sia poco naturale / non aver spiato col cuore in
fiamme / fino a tarda notte / tutta la luce che si perde / per il tuo non
rincasare” (IV)
Nello zibaldone che è la sezione settima A
quale distanza, dominano gli interrogativi sulla consistenza dei fatti della
vita. I singoli avvenimenti che accadono “a distanza” o “a distanza di tempo” (Qualcosa
accade) sussistono nell’istante in cui essi avvengono o si compiono altrove?
La loro importanza è riposta nella memoria (nel passato) o nell’evoluzione (nel
futuro)? “Un bacio una fiammella / vale per sé o è nullo / se si ferma / se il
tempo / non conferma / se intanto non divampa?” (La prova del nove). In
Non la sprezzare, l’’“Apparenza” è riconosciuta bella a patto che essa
non subisca forzature. In Spinge l’uomo il suo sogno si osserva
serenamente il contrasto tra il sogno “più lontano e fuori mano” che l’uomo si
propone di realizzare nella vita e ciò che alla fine egli trae, quando “ritira
la lenza”. Tradizionalmente accostato all’Eros, sommessamente compare in
questa sezione il Thanatos (Una sorella, A chi si tiene). E
poi c’è una professione di fede (Credo) e un aforisma: “Lasciare la vita
/ quando tutto è perfetto: / i figli capaci d’amore / il callistemon in fiore /
un bacio mai spento / un invito inatteso / il più bello / i piatti ancora unti /
scordati nel lavello” (Lasciare la vita).
L’arte di cadere
è poesia colta. La padronanza dei mezzi linguistici, i giochi verbali e fonici e
le assonanze rendono la scrittura personalissima e nuova. I componimenti
poetici, fluidi e melodiosi, non di rado stupiscono per la loro imprevedibilità
(L’altro capo). La disposizione grafica dei versi accenna alla poesia
visuale (componimenti metrici fatti per essere letti e guardati). Le rime chiuse
e aperte assegnano ai versi liberi un tocco di raffinata eleganza: “Ricordo da
qualche parte / una lucina
rossa
/ e tutte le mie ossa
ricomporsi” (Con quanta liberà ieri sera; ma vedi anche Non è facile
lasciarlo, Dammi il futile e l’essenziale). Tutto ciò trasmette al
lettore una prolungata serenità. L’epigrafe della raccolta: “L’arte di cadere
non esiste quando si ama. Si cade e basta. Verso l’alto, nell’abbandono. Verso
il basso, nel distacco. E sempre c’è una parte di noi che ci lascia. E sempre
quella che resta rinasce, ad altezze diverse”, ha l’originalità di raccogliere
nel termine “cadere” tutte le sfumature dell’amore. Ma l’originalità più
affascinante de L’arte di cadere consiste nel considerare l’amore, al di
là di ogni sua “apparenza”, come il cardine della vita e come la vita,
non come una sottile patina d’argento, che la luna stende di notte sullo stagno.
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Recensione |
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