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Il libro di Stefanoni, come
giustamente nota nella prefazione Mariella Bettarini, poco lascia ad una prima
lettura, se non una sensazione di sbandamento, nei confronti di una realtà in
parte astratta, in parte deformata in un sotto-mondo materiale di eliotiana
memoria.
Analizzando In suo corpo vivo
a partire dai codici e dalle citazioni proposte dall’Autore, la sezione
introduttiva, Coloro che vanno ai morti, nasconde, soprattutto nella
scelta stilistica fatta esile e nelle continue ripetizioni quasi ossessive, una
visione della realtà resa tragica (non esiste salvezza nemmeno nella separazione
tra carne e idea, tra forma e sostanza) dal fatto che tutto si chiuda nella
carnalità, nella certezza della fine; non risulta, infatti, un pensiero che
tenda alla luce, alla perfezione, ogni cosa si risolve in un ciclico ritorno
alla morte, ad un Dio “della vecchiaia e del dubbio”. Mediante la parola, mi
sembra che Stefanoni cerchi una barriera contro la contraddizione dei vivi-morti
di esistere in una forma che non è una forma, ma “uno | stato | di | disagio
| che |
è | sentore | di | felicità”; il corpo e la carne diventano vuoto, memoria in un
mondo statico di cui si ha solo il sentore.
E’ dalla seconda parte che il
pensiero dell’autore si fa più maturo e l’espressione compiuta; in Morning
seems strange, la dedica a Burri consiglia una lettura visiva dell’opera:
come il colore non occupa ma è esso stesso figura, superficie, struttura, così
la memoria da rappresentare in poesia diventa fisicità ed evanescenza, assenza e
presenza, seppur in modo sfilacciato, deformato (emblematico il richiamo al
gruppo Cobra): “Arance gonfiano il caldo | Tu disponiti su più lati | e mostrami il
tuo amore cubista | Intreccio di mani erranti”. Il riferimento non può che essere
che Testori, nella sua trascrizione quasi materica, carnale, di frammenti visivi
che diventano macchie di parole sovrapposte, accostate (e con lui il poeta: “il
passo è la misura | a cui appartenere, | il punto zero | a genitivo surrealista,
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la superficie biancoretina | di un blu fenicottero”).
L’invito è a
leggere Prefigurazione “le nostre sono scarpe in rovina | .. | non tornano i
ragazzi dagli spogliatoi | segnati da macchie fecali | .. | Sono come corpi
raggiunti in carità | .. | Resta a braccia spiegate il Cristo |..): la verbalità diventa
carne, il corpo in rovina attende un Cristo astratto e distante a cui affidarsi
(Sei TU l’elaborato lutto | il verbo che stride). Scrivere, pertanto, è recupero
intenso della matericità del corpo e consapevolezza della sua dissolvenza ( E
sei come scarto | che s’apre e chiude | da non nominare | madre che ha dato i suoi
morti); ma allo stesso tempo abbandono e dolcissima minaccia di redenzione, di
amore “la coscienza dell’abisso | è l’abisso. | Solo l’amore può salvare.
| Solo
l’amore tenta. | Fiore delle intemperie, | azzardo”. | |
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Recensione |
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