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Non avrei mai pensato che un libro di poesie scritte da una bambina prima e da un’adolescente poi, avrebbe focalizzato tanto la mia attenzione quanto questo di Samina Zargar, una silloge la cui scrittura è compresa nell’arco di tempo che va dai cinque ai diciotto anni della giovane poetessa.

A suscitare in me il desiderio di un commento al riguardo, è stato il fatto che mentre leggevo le composizioni poetiche della raccolta, da queste stesse mi sono sentita da prima letteralmente catapultata nella fantastica amenità di un mondo “bambino” e poi risucchiata dall’atmosfera più densa e meditativa di un mondo adolescenziale. Infatti, ciò che affascina nelle poesie di Samina Zargar è la sua non comune sensibilità poetica, è il constatare come lei, fin dalla più tenera età, abbia saputo cogliere sia le emozioni che scaturiscono dalle visioni della natura, sia quelle che vengono dal profondo del cuore, e le abbia tradotte in versi soffusi di delicatezza e intrisi di musicalità.

Ma la delicatezza, nei testi di Samina, non è soltanto qualcosa che si percepisce come una forma di leggiadria estetica congeniale allo spirito dell’età, è anche – e forse più – una forma di delicatezza che sa tradursi, nelle successive fasi di crescita, in una particolare forza di contenuti, rivelando la notevole tempra della giovane autrice.

Al tempo stesso, la musicalità dei versi non è soltanto qualcosa di giocondamente ritmico che allieta ma è l’eco dei suoni che provengono da una musica interiore. Una eco che appartiene a chi ha dimestichezza con gli strumenti musicali – per Samina il violino, il pianoforte e la chitarra – e che dà ai suoi versi brevi ma intrinsecamente timbrici, un suono tonale forte, sia quando il motivo è gioioso sia quando è velato di tristezza.

E’ un grande dono possedere già nell’infanzia e seguitare a coltivarlo nell’adolescenza, come poi nella giovinezza, una sorta di giardino interiore dove i fiori rappresentano la variegata molteplicità dei valori che Samina ha fatto suoi e che rielaborati alla luce del proprio schietto modo di vedere, lei comunica in forma poetica. Trovano spazio, tra le pagine, versi riguardanti l’incanto della natura e i suoi doni preziosi come quello dell’acqua, versi che esprimono la necessità dell’amore tra le persone e quindi tra i popoli (“L’amore | è dolce come lo zucchero, | affettuoso come un cane, | generoso come un orso, | e forte come un fulmine”), versi che cantano la gioia dell’amicizia (Amica mia, | quanto tempo abbiamo passato insieme!). E poi ancora, versi sulla musica, sulla libertà, sulle guerre (Sogni infranti, | anime rubate…”), sui grandi personaggi come sui piccoli bambini africani (“Piccoli bimbi | come raggi sole | mi corrono incontro”).

Vi trovano spazio le brevi anche sapide favolette dell’infanzia, ma più avanti i diari-denuncia dei ragazzi palestinesi e israeliani drammaticamente coinvolti nel turbine delle guerre fratricide combattute tra i rispettivi popoli di appartenenza. Chi legge, viene dunque a trovarsi in questo giardino, all’interno del quale scopre sì la bellezza delle zone coltivate ma, per contro, nelle parti lasciate incolte, scopre la distruzione e la morte.

Tuttavia, tra i fogli, aleggia costantemente un qualcosa di rassicurante, ed è la linfa che nutre i fiori del giardino, ovvero la forza della creatività poetica. Da questa forza si è sollecitati a sperare sia che altri giovani coltivino un simile giardino e riconoscendone la bellezza, agiscano in modo da salvaguardarla, sia che altri giovani sappiano amare – come Samina ama – la vita e l’umanità presenti in tale “giardino-mondo”, e come lei capiscano che l’odio vi genera solo rovine e morte.

Un luogo così, dove queste cose positive accadono essendo volute dai più, diventerebbe davvero un mondo di pace, e quindi il più bello e il più giusto possibile, se è vero che l’uomo è nato per essere felice. E se è anche vero che un mondo come questo, purtroppo, ancora non c’è, il libro di Samina Zargar innesca il desiderio di sognarlo e la volontà di realizzarlo.

Recensione
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