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Un guado segreto fra le righe

“Questa raccolta è un guado segreto, nota di vagabondo tra le righe”, annota Lilia Slomp Ferrari a margine dell’ultima sua silloge poetica Come goccia di vetrata. Un guado, un attraversamento del tempo che è stato, affidato alla poesia del vissuto dall’infanzia all’oggi. Segreto perché è un disvelare il cammino dell’anima, che sfugge al comune guardare e chiacchierare.

In una sorta di esodo da sé, l’autrice scruta la propria vicenda “a zonzo come goccia di vetrata” che scivola lenta, con le sue mille iridescenze ed opacità. Una vetrata che non è gelata dallo scetticismo, ma solo velata dal caldo fiatare dello spirito. In questo suo vagabondaggio “tra le righe”, le memorie autobiografiche intrecciano sogni ed inquietudini d’una intera generazione. I versi si inoltrano lungo i sentieri dell’interiorità, districandosi fra sogni malandrini, estasi di coccole, sfarfallio di speranze, unghiate di delusioni. Talora saettano con voli improvvisi verso l’infinito “alla ricerca folle dell’immenso”. Talora sostano in colloquio amorevole con familiari e amici che non ci sono più.

Il nuovo canto di Lilia graffia ed accarezza. È un canto che calamita con forte tensione i tanti temi già disseminati nelle pubblicazioni precedenti. Così la parola lirica, sempre magicamente verginale, continua a raccontare le piccole storie che accadono nel suo segretissimo orto-giardino, reale e metaforico. Quel luogo in cui, fra sinfonie di aromi e colori, fruscii, fremiti e messaggi che si tramandano nelle varie stagioni, si assopisce estatica “in silenzi velati di stupore”.

Ma anche quando il gioco degli eventi si fa duro, continua a scavare come talpa “in orbite tuttora inesplorate” e “dipinge un affresco indelebile dell’anima”. Guarda le cose e le respira, rivive i ricordi e li trasfigura, favoleggia con la musica cifrata del cosmo. Ora Alice nel paese delle meraviglie, ora Cappuccetto Rosso nel bosco delle paure. Come Alice, cattura “vertigini, brividi | di nidiate e lucciole d’estate”. Come Cappuccetto Rosso se ne sta “rannicchiata nell’oscuro del bosco | in compagnia di funghi battaglieri | mendaci nella cesta del veleno”.

Con la fluidità e la capacità visionaria e rivelatoria della parola, concilia gli opposti del vissuto: la realtà e il sogno, il canto e il disincanto, la tenerezza e l’offesa, l’innocenza e la crudeltà.

Brucia incensi di affetti e di emozioni sull’altare della vita, che s’alzano in volute di salvezza e aneliti di rinascita. Oltre “le muraglie” della morte e dell’iniquità: implorazione e speranza. Come dice in una delle ultime poesie: “Endecasillabo che mi percuoti | con frusta d’aguzzino dentro il canto, | lasciami decollare in altri cieli, | magari controvento incontro al sole”.

Le settantadue liriche del libro seguono il cammino dell’anima in quattro tempi, ciascuno introdotto da una citazione che ne crea la giusta atmosfera. L’acuta prefazione è di Paolo Ruffilli, poeta e scrittore affermato a livello internazionale.

“L’anima in cammino”

“Questo libro lo chiamerei il mio testamento spirituale”, ci confida Lilia. Nel senso che volevo trasmettere non solo il sogno favolistico dell’infanzia, ma anche quella capacità di stupore che nel corso degli anni si fa percezione cosciente del mistero che ci sopravanza. È una visione che sta dentro il cammino della vita e ti fa crescere fra sentimenti forti e contrastanti, di arricchimento e di perdita.

Perdita che coincide con la morte…

No, perché anche la morte permette di dialogare con le cose, di ritrovare le persone care in modo diverso. Io credo nella rinascenza dell’io, come continua è la rinascita della natura in mezzo a cui viviamo. E tante piccole cose, come il volo d’una farfalla o la fioritura d’un bucaneve sono altrettanti segnali d’una presenza di vita che continua. Mi inquieta di più oggi la perdita d’attenzione per quel lievitare dell’umano, in noi e fra di noi, che ci era tanto caro un tempo.

“L’anima in cammino”: non potremmo anche definirla così questa silloge, richiamando la citazione di G.K. Gibran che è posta all’inizio?

In realtà, di sezione in sezione, c’è un crescendo di tensione. E se le poesie si leggono in ordine, una dopo l’altra, si ritrova il filo che le unisce, con immagini che si richiamano e formano una spirale progressiva di senso. Quando le scrivevo mi sentivo entrare nell’anima delle cose, ne captavo i loro messaggi. Per questo ho avvertito il bisogno di riprenderle in mano, e rimettermi con l’anima in cammino. Le ho scelte fra oltre trecento e, in questo contesto particolare, posso dire che alcune fanno volutamente parte di una scelta privilegiata,

Ai sogni dell’innocenza fanno talora da contrappeso immagini di ferite mortali. Come quegli areoplanini di carta in volo nel cielo nero di Manhattan…

C’è in realtà una certa nostalgia per quell’innocenza che non è solo dei bambini, ma che fa parte della natura dell’uomo. In questi ultimi anni c’è quasi la percezione della caduta stessa del sogno, per cui l’innocenza è come svanita o impedita di manifestarsi negli occhioni sgranati dei bimbi. Dopo Auschvitz sapevamo l’orrore del genocidio. Ma non per questo è finito e continua in tante altre parti del mondo, magari in modo più subdolo e nascosto. Qualcosa è franato, rompendo l’equilibrio…

Ma non è franata in Lilia la forza evocativa della poesia…

No, anzi. Dovevo fare questo libro per ripartire e battere tutte le mie angosce. Perché vivo il nostro tempo, e la metafora e la poesia fanno da stampella ai miei giorni. Mi aggrappo alla natura, al sogno che pure c’è. Perché i sogni ad occhi aperti sono aperture sul mistero. Citando un verso dell’ultima poesia, mi sento “punta di pennino spuntato che scrive sopra fogli di mistero”.

Recensione
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