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Ne Il tempo vissuto Minkowsky scrive: "Il fenomeno vitale che si contrappone all'attività, pur essendo situato sullo stesso piano, non è come ragione vorrebbe la passività, bensì l'attesa". Forse Banchini potrebbe sottoscrivere questa posizione, se non vi fosse implicitamente una connotazione negativa. L'attesa invece può essere preziosa, in particolare per un poeta. Come ci ricorda James Hillman, "a volte agiamo per non vedere", e il non vedere è la precondizione per il non aver nulla da dire.

Non corre un tale rischio l'autore di questo libro, che contiene, accanto a una raccolta di poesie, alcune prose che coerentemente concludono un vero e proprio percorso di "maturazione segreta". Lo spiega benissimo lo stesso Banchini, introducendo le poesie, con parole che nascono da un atteggiamento che è nello stesso tempo psicologico ed etico: "L'attesa è vigile inquietudine, apertura trepida a tutte le possibilità, a tutte le realtà, salita verso il momento della scelta, sguardo rivolto a ciò che ancora non si vede".

Siamo dunque alle prese con un'attesa senza rinuncia, torse persino senza paura. Un'attesa attiva'? Sappiamo che la poesia si nutre di paradossi e che cerca rischiosamente l'ossimoro, vera e propria sonda per "ciò che ancora non si vede". Ma qui conta di più l'aver trovato uno stile di scrittura denso e maturo per raccontare il tentativo-riuscito-di testimoniare, ben oltre le riflessioni e gli umori di un'autobiografia, un umanesimo vissuto senza nostalgie e senza troppo disincanto. Alla fine sono le scelte del presente ad imporsi. Anche uno scrittore deve fare i conti con questo, a suo modo: "Mi compongo il mio giorno, invento un gioco".

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