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Fuga dal bunker

Il romanzo di Franco Massari, un veneziano che, dopo alcune esperienze professionali in paesi esteri, vive dal 1981 a Monaco di Baviera, non è soltanto è una delle moltissime prove, dimostrazioni della profonda ignoranza, della disinformazione, non solo in Italia, dei caratteri fondamentali, della storia, del regime nazista e in particolare di Hitler, la personalità dominante del regime nazista, e dei suoi seguaci. È anche un sintomo, secondo noi, di un altro fenomeno che in questi anni si sta diffondendo sviluppando in Europa.

Poiché furono le forze armate dell'URSS, comandate da Stalin, che superarono il fiume Oder e conquistarono Berlino e quindi l'edificio della Cancelleria del Reich vicino al quale era stato scavato il bunker di Hitler non vi possono essere dubbi sul fatto che Stalin è quello fra i grandi protagonisti e vincitori della Seconda guerra mondiale che ebbe la maggiore quantità informazioni sui due cadaveri bruciati trovati nel giardino della Cancelleria del Reich.

La maggior parte degli storici ritiene che si sia trattato dei cadaveri di Hitler e della sua compagna Eva Braun. Tuttavia secondo alcune fonti non ufficiali, Stalin avrebbe affermato che Hitler sarebbe sopravvissuto e si sarebbe nascosto con la complicità della Gran Bretagna.

Il fatto che Joachim Fest, un autorevole biografo tedesco di Hitler, abbia usato per descrivere la fine di Hitler e dei suoi complici l'espressione wagneriana “crepuscolo degli dei” è uno dei numerosi indizi dello sforzo grottesco, patetico, di attribuire alla fine del capo del nazismo una dimensione tragica che fu invece completamente assente.

Hitler si era ritirato nel bunker che si estendeva fin sotto il giardino della Cancelleria del Reich. Al piano superiore del bunker si trovavano alloggi di una parte del personale, la cucina e alcuni uffici amministrativi. Da esso si accedeva al piano inferiore composto da venti locali intercomunicanti. Vi erano le stanze di Bormann, il segretario del partito nazista, di Goebbels il ministro della propaganda, del medico delle SS e sei stanze dell'alloggio di Hitler. Davanti al quale vi era una grande stanza usata per le riunioni.

Hitler si suicidò nel bunker il 30 aprile 1945. Molti decenni fa. Ma ancora in Italia e in Europa non vi è una consapevolezza adeguata della centralità nel suo programma politico dell'antisemitismo eliminazionista e della profondità delle radici della tradizione storica e culturale dell'antisemitismo in Germania.

Ma non solo in Germania.

Lo storico George L. Mosse ha costantemente ribadito che senza una “tradizione storica da attivare” (G.L. Mosse, Intervista sul nazismo, a cura di M.A. Leden, 1977) nessun movimento politico può svilupparsi. E questo vale sopratutto per i movimenti politici di massa.

Quando in Germania l'antisemitismo si è saldato nella seconda metà dell'Ottocento alla teoria della razza e quindi del sangue nel movimento antiebraico tedesco, ma non solo tedesco, vi è stato un salto di qualità.

Secondo l'antisemitismo razzista l'ebreo non era più recuperabile, convertibile a una diversa religione o a una diversa cultura, in nessun modo.

Il maggior responsabile, ma certamente non l'unico, della strage di massa degli ebrei, nel romanzo di Franco Massari, riesce perfino a fuggire assieme alla sua compagna e moglie Eva Braun, grazie alla complicità di Franco e dei falangisti spagnoli della Division Azul.

La rimozione da parte di tutti coloro che in Europa sono stati “volonterosi carnefici”, complici passivi o attivi di Hitler, dell'antisemitismo razzista, e quindi della strage degli ebrei, a un certo momento della vita culturale e politica europea, non ha più retto, si è sgretolata, è crollata. E stata preceduta, accompagnata, dalla apparizione in pubblico di gruppi apertamente rivendicanti, esaltanti la “comunità di sangue” che galleggiavano, nuotavano, nelle manifestazioni dove erano accettati. Un fenomeno che si verifica ancora.

Ma contemporaneamente in tutta Europa si sono sviluppate delle reazioni, delle risposte, culturali e politiche che avevano ed hanno come obbiettivo una analisi documentata, dettagliata sulle responsabilità individuali e collettive della strage degli ebrei.

È sintomatico che un intellettuale, uno scrittore italiano che vive in Germania, in Baviera, abbia dato corpo con il suo romanzo a questo delirio, autogiustificativo, autoassolutorio, sulla onnipotenza di Hitler che sarebbe perfino riuscito a fuggire dal bunker. E a non essere colpito dalla punizione.

Nel romanzo lascia perplessi il termine italiano “lazzaretto” usato per indicare un ospedale militare immediatamente vicino al fronte. Probabilmente si tratta o di una inadeguata traduzione di un termine tedesco o di un ricordo del termine veneziano.

novembre 2018

Recensione
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